Basiliche Papali di Roma

(Fonte Wikipedia)

Basilica di San Giovanni in Laterano

La Sacrosanta Cattedrale Papale Arcibasilica Romana Maggiore del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista al Laterano, Madre e Capo di tutte le Chiese della Città e del Mondo[1] è la cattedrale della diocesi di Roma, attualmente retta da papa Francesco tramite il cardinale vicario Agostino Vallini.

È la prima delle quattro basiliche papali maggiori e la più antica e importante basilica d’Occidente[2]. Sita sul colle del Celio, la basilica e il vasto complesso circostante (comprendente il Palazzo Pontificio del Laterano, il Palazzo dei Canonici, il Pontificio Seminario Romano Maggiore e la Pontificia Università Lateranense) godono dei privilegi di extraterritorialità riconosciuti dallo Stato italiano alla Santa Sede che pertanto ne ha la piena ed esclusiva giurisdizione.

Origini

San Giovanni in Laterano vista dalla Scala Santa

La basilica sorse nel IV secolo nella zona allora nota come Horti Laterani, un antico possedimento fondiario della famiglia dei Laterani confiscato ed entrato a far parte delle proprietà imperiali al tempo di Nerone[3]. Nel 161 Marco Aurelio costruì un palazzo nella zona. Alla fine del II secolo Settimio Severo fece costruire su una parte del fondo una fortificazione (i Castra Nova equitum singularium); successivamente gli Horti ritornarono di proprietà della famiglia Laterani.

Il terreno e il palazzo che vi sorgeva pervennero all’imperatore Costantino quando questi sposò nel 307 la sua seconda moglie, Fausta, figlia dell’ex-imperatore Massimiano e sorella dell’usurpatore Massenzio. La residenza era dunque nota, a quell’epoca, con il nome di Domus Faustae e Costantino ne disponeva come proprietà personale quando vinse Massenzio alla battaglia di Ponte Milvio, nel 312.

La tradizione cristiana aulica fa risalire la vittoria a una visione premonitrice che nel motto in hoc signo vinces avrebbe spinto l’Imperatore a dipingere il simbolo cristiano della croce sugli scudi dei propri soldati. Vittorioso, Costantino avrebbe donato, in segno di gratitudine a Cristo, gli antichi terreni e la residenza dei Laterani al vescovo di Roma, in una data incerta, ma associabile al papato di Milziade (310314). Sul luogo degli antichi castra venne edificata dunque la primitiva basilica, consacrata da Milziade al Redentore, all’indomani dell’editto di Milano dell’anno 313 che legalizzava il Cristianesimo. Nella domus, divenuta sede papale, si tenne in quello stesso anno il concilio con cui venne dichiarato eresia il donatismo.

La dedicazione ufficiale della basilica al Santissimo Salvatore fu compiuta però da papa Silvestro I nel 324, che dichiarò la chiesa e l’annesso Palazzo del Laterano Domus Dei (“casa di Dio”).

Età paleocristiana: la prima basilica

La leggenda aurea di Costantino e papa Silvestro

Una famosa e popolare Legenda Aurea narrata nel Trecento da Jacopo da Varagine racconta in un altro modo la storia della fondazione della basilica, intitolando la donazione costantiniana a papa Silvestro I.

Pare che Costantino fosse stato colpito da lebbra, nel 313, ma si rifiutasse di sacrificare i bambini il cui sangue, secondo i medici, lo avrebbe guarito. Costantino avrebbe dunque sognato due sconosciuti di nome Pietro e Paolo, che lo esortarono a mandare a cercare un eremita di nome Silvestro, che con i suoi compagni si era sottratto alle persecuzioni anticristiane in una grotta del monte Soratte, il quale avrebbe saputo guarirlo.

Costantino, che aveva scambiato i due santi per dei, mandò a chiamare Silvestro, che, arrivato, gli mostrò due ritratti degli apostoli Pietro e Paolo, nei quali l’imperatore riconobbe i suoi “dei” del sogno. Allora Silvestro impose all’imperatore di liberare i cristiani carcerati e digiunare una settimana, poi lo immerse nel fonte battesimale e l’imperatore ne uscì guarito.

Costantino dedicò allora gli otto giorni successivi a produrre leggi sulla cristianizzazione di Roma e sull’istituzione della potestà dei vescovi e della Chiesa.

Poi, l’ottavo giorno, dice la leggenda «l’imperatore andò alla chiesa di san Pietro, dove confessò piangendo le sue colpe. Prese poi il piccone e iniziò personalmente lo scavo per costruire la basilica e portò via sulle sue spalle dodici carichi di terra».

Sul primitivo aspetto della basilica, dopo l’editto di Milano, sono note le descrizioni delle fonti e le informazioni relative alle successive ricostruzioni, che per un certo periodo continuarono a basarsi sulla struttura originaria.

L’originale basilica era nota, per il suo splendore e per la sua importanza, con il nome di Basilica Aurea ed era oggetto di continue e importanti donazioni da parte degli imperatori, dei papi e di altri benefattori, testimoniate nel Liber Pontificalis.

L’edificio era orientato secondo la direttrice estovest tipica delle basiliche paleocristiane, con la facciata rivolta a oriente, cioè verso l’alba, e l’abside con l’altare rivolti a occidente, cioè verso il tramonto, così come consigliava un testo attribuito a papa Clemente I, nel I secolo, ma forse databile al IV secolo, il quale recitava:

« [Preghiamo Dio] che ascese sopra il cielo dei cieli verso oriente, ricordando l’antica passione per il Paradiso, posto a oriente, da dove il primo uomo, disobbedendo a Dio, persuaso dal consiglio del serpente, fu cacciato. »

Oriente era quindi il luogo dove si trova il Paradiso e quindi Cristo, e la direzione dalla quale questi sarebbe tornato sulla terra. Nello stesso testo si recitava come il seggio del vescovo dovesse stare al centro, affiancato dai presbiteri, e che i diaconi avessero la cura disporre in zone separate i laici, divisi tra uomini e donne.

La primitiva basilica aveva una forma oblunga e disponeva di cinque navate fortemente digradanti in altezza, divise da colonne: la navata centrale era la più larga e più alta e si elevava sopra delle altre permettendo di aprire luminose finestre nel cleristorio. Il soffitto era coperto a capriate, che probabilmente dovevano essere a vista. Opposta alla facciata era presente un’unica abside dove venne posta la cattedra vescovile, in analogia con le tribune allestite per le sedute solenni nelle basiliche civili[4]. In fondo alle navate esisteva una navatella trasversale, il primitivo transetto, nella quale prendevano posto durante la celebrazione il vescovo, sedendo in centro, su un seggio rialzato, affiancato dai sacerdoti, disposti ai lati. Tra le navate e il transetto due possenti colonne sostenevano un grande arco detto arco trionfale.

Tra la navata e la parte destinata all’altare venne posto il fastigium una grande struttura su quattro colonne che fu l’antecedente di tutte le strutture simili (pergule, tramezzi, iconostasi, pontili, jubé) che in seguito caratterizzarono le chiese sia in occidente sia in oriente. Le colonne in metallo dorato sorreggevano un frontone con statue d’argento e lampade d’oro, come descritto nel Liber Pontificalis[5]. Verso il centro della navata si disponeva il lettore dei testi sacri, che doveva disporre di una struttura rialzata.

Già colpita nel 410 dal Sacco di Roma dei Visigoti di Alarico, nel 455 la basilica venne nuovamente saccheggiata dai Vandali di Genserico, che la privarono di tutti i suoi tesori. La chiesa venne però restaurata e riportata al suo originario splendore da papa Leone Magno attorno al 460, venendo poi ulteriormente arricchita sotto il successore Ilario, il quale vi aggiunse tre oratori. In totale la basilica venne dunque a essere circondata da sette oratori, in seguito parzialmente inglobati nell’edificio, da cui nacque in seguito la tradizione di dotare le chiese di sette altari.

Declinata parallelamente al declino della città, la basilica venne restaurata da papa Adriano I alla fine dell’VIII secolo, apparendo in tutto il suo splendore in occasione della Pasqua dell’anno 774, quando vi ricevette il battesimo Carlo Magno. Nuovi interventi seguirono poi negli anni 844847, quando papa Sergio II ricavò una confessio sotto l’altare maggiore.

L’opera Papa Formoso e Stefano VII (1870) di Jean-Paul Laurens, custodita al Musée des Beaux-Arts di Nantes, raffigura l’episodio del cosiddetto “sinodo del cadavere

La basilica fu teatro di uno degli avvenimenti più drammatici nella storia della Chiesa cattolica: il processo a papa Formoso, detto anche il Sinodo del cadavere. Dopo la morte di Papa Formoso, nell’896, probabilmente a seguito di avvelenamento, il suo successore, Stefano VI, istruì un processo contro di lui, ritenuto colpevole di essere salito al soglio pontificio grazie all’appoggio del partito filogermanico. La mummia di Formoso fu dunque riesumata dal sepolcro, abbigliata con i paramenti pontifici e collocata su un trono nella sala del concilio, per rispondere a tutte le accuse che erano state avanzate da papa Giovanni VIII. La macabra adunanza si svolse nella Basilica con i cardinali e i vescovi riuniti sotto la presidenza di Stefano VI.

Il verdetto stabilì che il deceduto era stato indegno del pontificato. Tutti i suoi atti e le sue misure vennero annullati, e gli ordini da lui conferiti vennero dichiarati non validi. Le vesti papali vennero strappate dal suo corpo, le tre dita della mano destra, usate dal Papa per le consacrazioni, vennero tagliate e il cadavere fu poi trascinato per le vie di Roma e gettato nel Tevere. In quello stesso anno, un terremoto fece crollare il tetto sopra la navata centrale, danneggiando gravemente la chiesa e l’evento fu ritenuto un castigo divino nei confronti di Stefano VI. I racconti dicono che la basilica “sprofondò dall’altare alle porte” (ab altari usque ad portas cecidit) e i danni furono così ampi che si rese necessaria una radicale ricostruzione.

Poche tracce rimanenti degli edifici originali possono tuttora essere identificate nelle Mura aureliane, fuori Porta San Giovanni e una grande parete decorata con pitture fu trovata nel XVIII secolo all’interno della basilica stessa, dietro la cappella Lancellotti. Poche altre tracce dell’edificio più vecchio vennero alla luce durante i lavori di scavo effettuati nel 1880, quando erano in corso i lavori per allargare l’abside, ma non fu scoperto niente di importante o di valore.

Età altomedievale: la seconda basilica

Il nuovo edificio, inaugurato agli inizi del X secolo, rispettava nella loro essenza le proporzioni della basilica costantiniana. Esso venne consacrato da papa Sergio III, il quale, inaugurando anche il nuovo battistero[non chiaro], aggiunse alla chiesa anche la dedicazione a San Giovanni Battista. Sergio fece inoltre ornare la tribuna di mosaici, lasciando memoria della propria opera in un’elaborata epigrafe, che venne posta al disopra della porta maggiore.

La basilica di papa Sergio era dotata di un campanile, distrutto però da un fulmine nel 1115 e riedificato da papa Pasquale II.

Nel XII secolo, poi, papa Lucio II dedicò il Palazzo del Laterano e la basilica anche a San Giovanni Evangelista. In seguito nel Palazzo del Laterano fu insediato un monastero di Benedettini.

Nel 1276 all’interno della basilica venne poi inaugurato il Monumento Annibaldi, opera di Arnolfo di Cambio che costituì un prototipo per le tombe romane del periodo gotico.

Nel 1292, inoltre, papa Niccolò IV restaurò i mosaici absidali per opera dei francescani fra’ Giacomo di Turrita e fra’ Giacomo da Camerino. Tra il 1297 e il 1300 sono inoltre forse databili i primi interventi da parte di Giotto sui cicli decorativi della basilica, nel corso del suo secondo soggiorno romano. L’apice della gloria della nuova basilica lateranense giunse comunque il 22 febbraio 1300, quando papa Bonifacio VIII vi indisse il primo Giubileo.

La decadenza cominciò però ben presto, appena nel 1305, quando, morto Bonifacio e le sue aspirazioni universalistiche, l’inizio della cattività avignonese segnò l’abbandono di Roma da parte dei papi. Nella notte del 6 maggio 1308 la seconda basilica laterana andò quasi completamente distrutta in un furioso incendio.

Età bassomedievale: la terza basilica

La facciata laterale, con la Loggia delle Benedizioni, realizzata assieme all’annesso Palazzo del Laterano da Domenico Fontana

Da Avignone, papa Clemente V e papa Giovanni XXII inviarono il denaro necessario alla ricostruzione e al mantenimento della basilica, ma la chiesa non tornò più al suo splendore originario. Nel 1360, poi, la nuova chiesa venne nuovamente distrutta dal fuoco e ricostruita da papa Urbano V.

La terza basilica continuò a mantenere la sua forma antica, essendo ancora divisa in cinque navate separate da colonne e preceduta da un ampio quadriportico di stile paleocristiano, anch’esso retto da colonne e decorato, al centro, da fontane. La facciata era abbellita da un grande mosaico su fondo d’oro raffigurante al centro il Cristo Salvatore e, nel registro inferiore, i Quattro Evangelisti. Sempre sulla facciata principale si aprivano tre ampie finestre che donavano luminosità all’interno. I portici, ancora risalenti alla chiesa paleocristiana, erano affrescati con opere probabilmente non precedenti al XII secolo, che commemoravano la flotta romana sotto Vespasiano, la presa di Gerusalemme, il battesimo dell’imperatore Costantino e la sua donazione alla Chiesa. A differenza dell’edificio precedente, però, Clemente fece introdurre una navata trasversale, imitata senza dubbio da quella aggiunta molto prima alla Basilica di San Paolo fuori le mura e a modello dei tipici transetti medievali.

Basilica e Battistero (1991)

Oltre ai portici, altre parti delle costruzioni più antiche ancora sopravvivevano, fra esse la pavimentazione cosmatesca e le statue di San Pietro e di San Paolo, ora nel chiostro. Nel portico era poi conservata la “stercoraria”, il trono di marmo rosso su cui sedevano i papi in occasione dell’incoronazione, ora conservata ai Musei Vaticani. Doveva il suo nome particolare all’antifona cantata durante l’incoronazione papale De stercore erigens pauperem (“Sollevando il povero dal letamaio”, dal Salmo 112).

Nel 1349 l’edificio venne lesionato da un nuovo terremoto e quindi nuovamente attaccato dal fuoco nel 1361. Papa Urbano V affidò i restauri al senese Giovanni di Stefano, il quale eliminò parzialmente le trabeazioni interne e sostituì le colonne costantiniane con venti pilastri in laterizio, realizzando infine, con il contributo del re di Francia Carlo V il grandioso ciborio, inaugurato nel 1370, nel quale furono inseriti i preziosi reliquiari contenenti le teste dei Santi Pietro e Paolo. Il ciborio tutt’oggi sovrasta l’altare maggiore, nel quale è incastonata la reliquia della tavola su cui celebrò San Pietro.

La basilica in una pubblicazione del 1864

Vi si trovava poi un ciclo di affreschi, a suo tempo ammiratissimo seppure incompleto, oggi scomparso, opera di Gentile da Fabriano e del Pisanello, commissionato da Martino V.

Al ritorno da Avignone di papa Gregorio XI, nel 1377, i papi scelsero di spostare la loro residenza al Vaticano e il Laterano perse parte della sua importanza a vantaggio di San Pietro. Nonostante questo lo stesso Gregorio dotò la basilica di un nuovo portale, ornato da leoni, riedificando al contempo la facciata settentrionale, nella quale fece aprire un nuovo rosone.

Nel 1413 la basilica lateranense venne però nuovamente danneggiata dalle truppe di Ladislao I di Napoli, costringendo papa Martino V a provvedere con grandiosi restauri, che si prolungarono sino al pontificato di Eugenio IV. Nel 1421 la chiesa venne arricchita da un nuovo pavimento cosmatesco e il soffitto venne riparato, mentre Gentile da Fabriano riceveva l’incarico di realizzare un nuovo ciclo di affreschi nella navata destra. Alla basilica venne annesso inoltre un nuovo convento, addossato al muro della città, assegnato a monaci benedettini.

Alla fine del XVI secolo papa Sisto V fece demolire il vecchio e pericolante palazzo del Patriarchio, facendolo riedificare ex novo dal suo architetto preferito, il ticinese Domenico Fontana. In quest’occasione fu ricostruita la facciata del transetto, fondale prospettico dell’antica via Triumphalis rivolta verso la città, con l’edificazione di una nuova Loggia delle Benedizioni, di fronte alla quale venne ricollocato l’antico obelisco Lateranense.

Età barocca: la quarta basilica

Stampa del 1752 raffigurante la basilica e il palazzo

Papa Innocenzo X decise la radicale riedificazione della basilica, affidandone l’opera al Borromini. Il progetto era ambizioso e si protrasse a lungo.

Nel 1660 papa Alessandro VII fece rimuovere i portoni bronzei dell’antica Curia Iulia perché divenissero i battenti del nuovo ingresso della basilica.

I lavori edilizi si prolungarono fino al pontificato di Clemente XII, quando venne realizzata infine la facciata principale, progettata da Alessandro Galilei, completata nel 1734 rimuovendo completamente le vestigia del tradizionale impianto dell’antica basilica.

Della basilica medioevale restarono solo il pavimento, il ciborio e il mosaico absidale, restaurato poi da papa Leone XIII.

Un’ulteriore campagna decorativa fu portata avanti da Clemente VIII negli anni dell’ultimo manierismo; egli fece affrescare il transetto da un gruppo di pittori (tra cui il giovanissimo Morazzone), capeggiati dal Cavalier d’Arpino.

Francesco Borromini, pur vincolato dalle preesistenze (il soffitto, opera del manierismo attribuito a Daniele da Volterra o a François Boulanger, e il pavimento cosmatesco, da lui restaurato e integrato) creò qui uno dei suoi più alti capolavori, specie nella fuga di spazi delle navate minori, caratterizzate da un uso estroso e intellettuale delle fonti luminose, dette camere di luce, espediente che permette l’illuminazione diffusa degli spazi architettonici e dallo stucco bianco. Francesco Borromini racchiuse le colonne dell’antica navata centrale in nuovi pilastri, alternati ad archi e caratterizzati da un ordine colossale di paraste. Sui pilastri collocò delle nicchie dalla forma di tabernacolo, riutilizzando parte delle splendide colonne in marmo verde antico che sostenevano le volte delle navate laterali. Nel secondo ordine fece in modo di alternare ai finestroni delle cornici ovali adornate dai motivi vegetali della palma, dell’alloro, della quercia e di essenze floreali, al cui interno lasciò visibili, quali reliquie, lacerti dell’antica muratura costantiniana.

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L’interno dell’attuale basilica, frutto dei radicali lavori del Borromini

Finalmente, dopo che le nicchie borrominiane erano rimaste vuote per decenni, la ricostruzione dell’interno si concluse quando, verso la fine del 1702, Papa Clemente XI e il cardinale Benedetto Pamphilj, arciprete della Basilica laterana, annunciarono la loro intenzione di dotare le nicchie di 12 monumentali sculture degli Apostoli. Ogni statua sarebbe dovuta essere sponsorizzata da un illustre principe, lo stesso Papa finanziando la realizzazione della statua di Pietro e Benedetto Pamphilj quella di Giovanni l’Evangelista[6]. Alla maggior parte degli scultori, reclutati fra quelli più in vista nella tardo-barocca Roma di quel tempo, furono dati schizzi eseguiti da Carlo Maratta, il pittore preferito dal Papa Clemente XI, come traccia per le loro realizzazioni scultoree. Unica notevole eccezione fu quella di Pierre Le Gros che si rifiutò di avere a che fare con gli schizzi di Maratta e che con successo perseguì la propria vena creativa. Questi sono gli abbinamenti artisti / opere secondo Conforti[7]:

Basilica di San Pietro in Vaticano

La basilica di San Pietro in Vaticano (nome esatto completo: papale basilica maggiore di San Pietro in Vaticano) è una basilica cattolica della Città del Vaticano; simbolo dello Stato del Vaticano, cui fa da coronamento la monumentale piazza San Pietro.

È la più grande delle quattro basiliche papali di Roma,[1] spesso descritta come la più grande chiesa del mondo[2] e centro del cattolicesimo. Non è tuttavia la chiesa cattedrale della diocesi romana poiché tale titolo spetta alla basilica di San Giovanni in Laterano, che è anche la prima per dignità essendo Madre e Capo di tutte le Chiese dell’Urbe e del Mondo.

In quanto Cappella pontificia, posta in adiacenza del Palazzo Apostolico, la basilica di San Pietro è la sede delle principali manifestazioni del culto cattolico ed è perciò in solenne funzione in occasione delle celebrazioni papali, ad esempio per il Natale, la Pasqua, i riti della Settimana Santa, la proclamazione dei nuovi papi e le esequie di quelli defunti, l’apertura e la chiusura dei giubilei e le canonizzazioni dei nuovi Santi. Sotto il pontificato di Pio IX ospitò le sedute del Concilio Vaticano I e sotto papa Giovanni XXIII e Paolo VI quelle del Concilio Vaticano II.

La costruzione della basilica

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Antica basilica di San Pietro in Vaticano.

L’antica basilica costantiniana

Il progetto di Rossellino ricostruito in un disegno del XVII secolo di Martino Ferrabosco

La costruzione dell’attuale basilica di San Pietro fu iniziata il 18 aprile 1506 sotto papa Giulio II[3] e si concluse nel 1626, durante il pontificato di papa Urbano VIII, mentre la sistemazione della piazza antistante si concluse solo nel 1667. I disegni originali della basilica vennero trovati nel 1866 dallo storico dell’arte austriaco Heinrich von Geymüller.

Si tratta tuttavia di una ricostruzione, dato che nello stesso sito, prima dell’odierna basilica, ne sorgeva un’altra risalente al IV secolo, fatta costruire dall’imperatore romano Costantino I sull’area del circo di Nerone e di una contigua necropoli dove la tradizione vuole che san Pietro, il primo degli apostoli di Gesù, fosse stato sepolto dopo la sua crocifissione. Oggi è possibile solo immaginare l’imponenza di questo edificio, immortalata soltanto in alcune raffigurazioni artistiche: l’impianto, arricchito nel corso dei secoli con preziose opere d’arte, era suddiviso in cinque navate con copertura lignea e presentava analogie con quello della basilica di San Paolo fuori le mura, aveva 120 altari di cui 27 dedicati alla Madonna.[4]

Il coro del Rossellino

Sotto papa Niccolò V (14471455), la basilica costantiniana, sopravvissuta ai saccheggi e agli incendi subiti dalla città dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, fu interessata da un progetto di sostanziale trasformazione, affidato a Bernardo Rossellino, che prevedeva il mantenimento del corpo longitudinale a cinque navate coprendolo con volte a crociera sui pilastri che dovevano inglobare le vecchie colonne, mentre veniva rinnovata la parte absidale con l’ampliamento del transetto, l’aggiunta di un coro, che fosse la prosecuzione logica della navata e di un vano coperto a cupola all’incrocio tra transetto e coro.

Questa configurazione forse influì in qualche modo sul successivo progetto di Bramante per un rinnovamento totale dell’edificio, che infatti inizialmente conservò quanto già costruito.[5]

I lavori cominciarono intorno al 1450, ma con la morte del papa non ebbero ulteriore sviluppo, e furono sostanzialmente fermi durante i pontificati successivi. Una parziale ripresa dei lavori si ebbe tra il 1470 e il 1471 sotto la direzione di Giuliano da Sangallo, che preparò un progetto di ristrutturazione complessiva per Paolo II, ma senza ulteriore seguito.[6]

Nel 1505 le fondazioni e le murature del coro absidale erano alzate fino a un’altezza di 1,75 m circa.

I progetti di Bramante

Uno dei progetti di Bramante

Il cantiere fu riaperto da Giulio II che probabilmente intendeva proseguire i lavori intrapresi da Niccolò V. Tuttavia nel 1505, forse dietro consiglio di Michelangelo, al probabile fine di dare un grandioso contorno al mastodontico mausoleo che aveva concepito per la propria sepoltura, e comunque all’interno di un clima culturale pienamente rinascimentale che aveva coinvolto la Chiesa, Giulio II decise la costruzione di una nuova colossale basilica.

Il pontefice consultò i maggiori artisti del tempo, tra cui fra Giovanni Giocondo che inviò da Venezia un progetto a cinque cupole ispirato alla basilica di San Marco.

I lavori furono affidati a Donato Bramante, da qualche anno giunto a Roma da Milano, che superò il confronto con l’architetto di fiducia del pontefice, Giuliano da Sangallo, affermandosi come il più importante architetto dell’epoca, tanto che a lui fu commissionato anche il disegno del vicino Cortile del Belvedere.

Il dibattito, non privo di polemiche e rivalità, che si svolse nel corso del 1505, si imperniava sull’idea di costruire un edificio a perfetta pianta centrale, condivisa dagli architetti e dagli intellettuali della Curia, tra cui il neoplatonico Egidio da Viterbo.

Bramante non lasciò un unico progetto definitivo della basilica, ma è opinione comune che le sue idee originarie prevedessero un rivoluzionario impianto a croce greca (ideale richiamo ai primi martyria della cristianità), caratterizzato da una grande cupola emisferica posta al centro del complesso.[7] Tale configurazione si può desumere, in parte,[8] dall’immagine impressa su una medaglia del Caradosso coniata per commemorare la posa della prima pietra del tempio, il 18 aprile 1506, e soprattutto da un disegno ritenuto autografo, detto “piano pergamena” in cui la ricerca del perfetto equilibrio tra le parti portò lo stesso architetto a omettere persino l’indicazione dell’altare maggiore, segno evidente che gli ideali del Rinascimento erano maturati anche all’interno della Chiesa.

Il cantiere con il coro rosselliano completato, i piloni e gli arconi di sostegno della cupola in costruzione e l’antica basilica ancora in piedi (circa 1524)

La medaglia commemorativa datata 1506

Tale progetto rappresenta un momento cruciale nell’evoluzione dell’architettura rinascimentale, ponendosi come conclusione di varie esperienze progettuali e intellettuali e confluenza di molteplici riferimenti. La grande cupola era ispirata a quella del Pantheon e doveva essere realizzata in conglomerato cementizio; in generale tutto il progetto faceva riferimento all’architettura romana antica nella caratteristica di avere le pareti murarie come masse plastiche capaci di articolare lo spazio in senso dinamico. I richiami all’architettura romana erano presenti anche nelle grandi volte a botte dei bracci della croce. Degni di nota del progetto bramantesco sono inoltre la soluzione dei quattro pilastri a sostegno della cupola, nonché il rapporto che aveva voluto creare fra volumi concavi interni (scavando le pareti come si trattasse di una scultura) e la convessità esterna.

La costruzione della nuova basilica avrebbe inoltre rappresentato la più grandiosa applicazione degli studi teorici intrapresi da Francesco di Giorgio Martini, Filarete e soprattutto Leonardo da Vinci per chiese a pianta centrale, le cui elaborazioni sono chiaramente ispirate alla tribuna ottagonale della cattedrale di Firenze.[9] Altri riferimenti vengono dall’architettura rinascimentale fiorentina, e in particolare con Giuliano da Sangallo che aveva utilizzato la pianta a croce greca e aveva già proposto un progetto a pianta centrale per la basilica di San Pietro.[10]

Tuttavia non tutti i disegni di Bramante indicano una soluzione di pianta centrale perfetta, segno forse che la configurazione finale della chiesa era ancora questione aperta al momento di cominciare il cantiere.

Il cantiere dal 1505 al 1514

Nei lavori in cantiere, infatti, venne mantenuto quanto costruito dal Rossellino per il coro absidale, anzi proseguendo i lavori della muratura perimetrale con lesene doriche, in contrasto con il progetto del “piano pergamena” a cui quindi nel 1506 Bramante e Giulio II avevano in qualche modo rinunciato. La sola certezza sulle ultime intenzioni di Bramante e Giulio II è la realizzazione dei quattro possenti pilastri uniti da quattro grandi arconi destinati a sorreggere la grande cupola, fin dall’inizio, dunque, elemento fondante della nuova basilica.[11]

Per poter eseguire tali lavori Bramante fece demolire quasi tutta la parte presbiterale dell’antica e veneranda basilica, suscitando polemiche permanenti fuori e dentro la Chiesa,[12] a cui presero parte anche Michelangelo che criticò la distruzione delle colonne[13] e persino Erasmo da Rotterdam. Bramante fu soprannominato “maestro ruinante” (ossia delle rovine) e fu dileggiato nel dialogo satirico Simia (“Scimmia”) di Andrea Guarna, pubblicato a Milano nel 1517, che racconta come l’architetto, presentandosi da morto davanti a san Pietro, venga da questi rampognato per la demolizione, rispondendo con la proposta di ricostruire l’intero Paradiso.[14]

La forte polemica per il gigantismo del progetto, per la distruzione delle più antiche testimonianze della chiesa e per lo scandalo delle indulgenze che fin dal 1507 Giulio II aveva accordato a coloro che avessero offerto elemosine per la costruzione della basilica, continuò anche dopo la morte del papa ed ebbe un ruolo nella nascita della Riforma protestante di Lutero, che vide i lavori in corso nel suo viaggio a Roma alla fine del 1510.

La morte di papa Giulio II (1513), alla quale fece seguito quella dell’architetto (1514), causò forti rallentamenti al cantiere.

Il cantiere dal 1514 al 1546

Progetto di Raffaello

Progetto di Antonio da Sangallo il Giovane

Dal 1514, come successore di Bramante fu chiamato Raffaello Sanzio con Giuliano da Sangallo e Fra’ Giocondo.

Dopo la morte di Raffaello, dal 1520 subentrò come primo architetto Antonio da Sangallo il Giovane con Baldassarre Peruzzi. Tutti gli architetti sopra riportati approntarono progetti per completare la basilica; si creò pertanto un largo dibattito che di fatto rallentò il cantiere. La maggior parte delle soluzioni proposte per il completamento dell’edificio, compresa quella di Raffaello prevedevano il ritorno a un impianto di tipo basilicale, con un corpo longitudinale a tre navate, mentre solo il progetto di Peruzzi rimaneva sostanzialmente fedele alla soluzione a pianta centrale. Dopo una ripresa del ritmo dei lavori nel 1525, che permise di terminare la tribuna e portare avanti decisivamente il braccio meridionale (come appare nelle vedute di Maarten van Heemskerck), il Sacco di Roma (1527) fermò il concretizzarsi di questi progetti.

Fu solo sotto papa Paolo III, intorno al 1538, che i lavori furono ripresi da Antonio da Sangallo il Giovane, il quale, intuendo che non avrebbe potuto vedere la fine dei lavori per limiti di età, approntò un grandioso e costoso modello ligneo (oggi conservato nelle cosiddette sale ottagone che si aprono tra le volte e il sottotetto della basilica) sul quale lavorò dal 1539 al 1546, avvalendosi dell’aiuto di Antonio Labacco, per illustrare nei minimi dettagli il suo disegno. Il progetto sangallesco si poneva come una sintesi tra la soluzione a pianta centrale di Bramante e la croce latina di Raffaello. All’impianto centrale, caldeggiato anche dal Peruzzi, si innestava infatti un avancorpo cupolato, affiancato da due altissime torri campanarie; anche la cupola si allontanava dall’ideale classico del Bramante, elevandosi con una volta a base circolare con sesto rialzato, mitigata all’esterno per farla apparire a tutto sesto con un doppio tamburo classicheggiante scalare a pilastri e colonne.

Durante il periodo dal 1538 al 1546, in cui fu responsabile del cantiere, Antonio da Sangallo coprì la volta del braccio orientale, cominciò le fondazioni del braccio nord, rinforzò i pilastri della cupola murando le nicchie previste da Bramante e rialzò la quota di progetto del pavimento[15] creando così le condizioni per la realizzazione delle Grotte Vaticane.

Ancora sopravviveva una parte della navata della vecchia basilica costantiniana, ormai come un’appendice della nuova struttura, dalla quale fu separata nel 1538 da una parete divisoria (“muro farnesiano”), probabilmente per ripararla dal rumore e dalle polveri del cantiere. Sangallo fu anche incaricato del rifacimento del coronamento del campanile medievale che affiancava l’antica facciata, segno forse che non era stato ancora decisa definitivamente la completa demolizione delle preesistenze.[16]

Il progetto di Michelangelo

Progetto di Michelangelo

Sezione del progetto di Michelangelo nell’incisione di Dupérac

Dopo Sangallo, deceduto nel 1546, alla direzione dei lavori subentrò Michelangelo Buonarroti, all’epoca ormai settantenne. La storia del progetto michelangiolesco è documentata da una serie di documenti di cantiere, lettere, disegni dello stesso Buonarroti e di altri artisti, affreschi e testimonianze dei contemporanei, come Giorgio Vasari. Malgrado ciò, le informazioni ricavabili spesso sono in contraddizione tra loro. Il motivo principale risiede nel fatto che Michelangelo non redasse mai un progetto definitivo per la basilica vaticana, preferendo procedere per parti.[17] Tuttavia, dopo la morte di Michelangelo, furono stampate diverse incisioni nel tentativo di restituire una visione complessiva del disegno concepito dall’artista toscano, tra cui quelle di Stefano Dupérac, che subito si imposero come le più diffuse e accettate.[18]

Una delle cupole minori, presumibilmente di Vignola e Pirro Ligorio

Sezione di una delle cupole minori, in cui si evidenzia la la loro funzione esclusivamente ornamentale

Michelangelo, ritenendo il costosissimo modello del Sangallo poco luminoso, troppo artificioso e con richiami all’architettura tedesca (guglie, risalti, ecc.), rifiutò l’idea del suo predecessore; tornò pertanto alla pianta centrale del progetto originario, così da sottolineare maggiormente l’impatto della cupola, ma annullando la perfetta simmetria studiata da Bramante con la previsione di un pronao.

Non mancarono le critiche, avanzate con forza dai sostenitori del modello di Sangallo, primo fra tutti Nanni di Baccio Bigio (a sua volta aspirante alla direzione dei lavori), secondo le quali Michelangelo avrebbe speso più in demolizioni che in costruzioni. Al fine di prevenire il rischio che dopo la sua morte qualcuno alterasse il suo disegno, Michelangelo avviò il cantiere in diversi punti della basilica (con l’esclusione della facciata, dove sorgevano ancora i resti della basilica paleocristiana), così da obbligare i suoi successori a continuare la costruzione secondo la sua concezione.

Quindi, all’equilibrio rinascimentale egli contrappose la forza e la drammaticità che derivavano dal suo genio: innanzitutto, sul lato orientale disegnò una facciata porticata sormontata da un attico, dando quindi una direzione principale all’intero edificio; poi, dopo aver demolito parti già realizzate dai suoi predecessori (come il deambulatorio previsto dal Sangallo all’estremità delle absidi), rafforzò ancora le strutture portanti a sostegno della cupola, allontanandole dalle delicate proporzioni bramantesche. Alla pianta di Bramante, con una croce maggiore affiancata da quattro croci minori, Michelangelo sostituì una croce centrata su un ambulacro quadrato, semplificando quindi la concezione dello spazio interno. In questo modo il fulcro del nuovo progetto sarebbe stata la cupola, ispirata nella concezione della doppia calotta a quella progettata da Filippo Brunelleschi per la cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore.

Ciononostante, i sostenitori del progetto di Sangallo avanzarono ancora critiche sull’operato di Michelangelo, senza perdere occasione per mettere in cattiva luce il maestro. Nel 1551 un crollo dovuto a un errore tecnico del capomastro di fiducia di Michelangelo non fece altro che gettare benzina sul fuoco, e i lavori subirono un’interruzione. Michelangelo presentò le sue dimissioni nel 1562, allorquando il suo rivale Nanni di Baccio divenne, invischiato com’era nelle speculazioni relative al cantiere, consulente della commissione.

Nel 1564, alla morte dell’artista, la cupola non era stata ancora terminata e i lavori erano giunti all’altezza del tamburo: fu Giacomo Della Porta (15331602) a eseguirne il completamento (15881590), conferendole un aspetto a sesto rialzato per ridurre le spinte laterali della calotta. All’epoca del Della Porta risalgono anche le cupole minori, aventi essenzialmente funzione ornamentale, poste intorno a quella maggiore, la cui concezione fu presumibilmente opera di Jacopo Barozzi da Vignola e Pirro Ligorio. Secondo alcuni studiosi non sarebbe da escludere l’attribuzione allo stesso Ligorio dell’attico che corre alla sommità della basilica, che forse era stato pensato da Michelangelo solo come una semplice superficie liscia.[19]

Uno studio sul riuso di colonne antiche all’interno della basilica, recuperate durante la direzione di Michelangelo, ha mostrato che con ogni probabilità alcune tra le colonne di granito grigio presenti nel transetto e nell’abside di fondo provengono dal Tempio di Venere e Roma.[20]

Il completamento della basilica

Progetto di completamento di Carlo Maderno

Nel 1603 papa Clemente VIII affidò la direzione del cantiere a Carlo Maderno, il quale dovette affrontare la questione del completamento della basilica. Le intenzioni del pontefice erano probabilmente quelle di far coesistere le navate longitudinali dell’antica basilica costantiniana, con il corpo centrico cinquecentesco, tuttavia, con l’elezione di papa Paolo V nel 1605 prevalse l’orientamento di concludere la pianta centrale di Michelangelo con un nuovo corpo longitudinale.[21] Consapevole di questi desideri Maderno approntò un disegno, forse il primo suo progetto noto per la basilica di San Pietro, che prevedeva l’inserimento di uno spazio biassiale giustapposto a quello esistente. Nel progetto erano comprese due grandi cappelle, che fungevano da raccordo tra l’ambulacro cinquecentesco e il corpo longitudinale. La pianta assumeva una forma scalare, restringendosi sensibilmente verso la facciata della chiesa; quest’ultima era aperta da un grande atrio, che introduceva un ulteriore asse trasversale nella composizione.[22]

Per il completamento della basilica fu probabilmente indetto un concorso, del quale non è però pervenuta alcuna prova documentaria. Oltre al Maderno, vi parteciparono Flaminio Ponzio, Girolamo Rainaldi, Orazio Torriani, Giovanni Antonio Dosio, il Cigoli, Niccolò Branconio e Domenico Fontana, ma a vario titolo si registrano anche le proposte di Fausto Rughesi, Giovanni Paolo Maggi e Martino Ferrabosco.[23][24]

Tra questi prevalse Carlo Maderno, il cui progetto fu tradotto in un modello ligneo tra l’aprile e il novembre 1607. Nel progetto definitivo Maderno mantenne le cappelle di raccordo tra la navata e la pianta centrale previste nel suo primo disegno, ma eliminò sia la composizione biassiale del braccio est, sia l’arco trionfale che doveva fungere da collegamento tra la nuova navata e il nucleo michelangiolesco; in ogni caso la distinzione tra le parti fu rimarcata da un lieve risalto tra la volta a botte della crociera e quella della navata. L’opera, realizzata a partire dal 1608,[25] mutò radicalmente il progetto di Michelangelo e attenuò l’impatto della cupola sulla piazza antistante. Le campate trasformarono la chiesa in un organismo a tre navate, con profonde cappelle inserite lungo le mura perimetrali. Nel clima della Controriforma la pianta fu così ricondotta a una croce latina; come è stato osservato, si trattava di una tipologia capace di ospitare un maggior numero di fedeli, che trasformava la chiesa in uno “strumento di culto di massa”.[26] Le navate laterali furono coperte con cupole a pianta ovale, incassate nel corpo della basilica e caratterizzate all’esterno solo da piccole lanterne, per le quali è nota anche la proposta del Ferrabosco, non realizzata, di chiuderle, alla sommità del tetto, per mezzo di numerose cupole ornamentali a pianta ottagonale.[27]

La facciata con i campanili di Ferrabosco, in un dipinto di Viviano Codazzi

Contestualmente alla costruzione della navata, Maderno pose mano anche alla facciata, dove riprese l’ordine gigante previsto da Michelangelo, reinterpretandolo però su un unico piano prospettico, senza il marcato avanzamento del pronao centrale. A lavori praticamente ultimati, per volontà di papa Paolo V, alla facciata vennero aggiunti i corpi dei campanili laterali. Nel prospetto fatto incidere da Matteo Greuter nel 1613, Maderno raffigurò quella che forse è la facciata definitiva del prolungamento, con le torri campanarie caratterizzate da due esili edicole, aperte da serliane timpanate e sormontate da un coronamento a lanterna. Tuttavia la costruzione dei campanili -di cui è noto anche il progetto del Ferrabosco- si interruppe nel 1622 e le due torri, rimaste incomplete al primo ordine, finirono per aumentare le dimensioni orizzontali della facciata,[28] che per questo apparve sproporzionata e piatta, malgrado il tentativo, tipicamente barocco, di rafforzarne la plasticità in corrispondenza dell’asse centrale mediante un uso graduale di pilastri, colonne e avancorpi aggettanti.

Successivamente la questione dei campanili fu ripresa da Gian Lorenzo Bernini. Approvato il progetto e dato inizio alla costruzione, si manifestarono preoccupanti problemi statici alle fondazioni che decretarono la sospensione dei lavori e l’abbattimento di quanto eseguito fino ad allora. Le colonne dell’unico campanile in parte realizzato vennero però reimpiegate per le facciate delle chiese di Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria in Montesanto di piazza del Popolo. Nel tentativo di dare slancio al severo prospetto, Gian Lorenzo Bernini, autore della piazza antistante alla basilica, eseguì una serie di trasformazioni: limitò alla sola parte centrale la scalinata d’ingresso alla chiesa e, davanti ai due archi che avrebbero dovuto sostenere i suddetti campanili, scavò il terreno sottostante, portando il nuovo piano di calpestio quanto più possibile vicino al livello della piazza.

Frattanto, nel 1611 fu data per la prima volta la benedizione papale dalla nuova loggia; nel 1614 si lavorò alla volta a botte della navata centrale, mentre nel 1615 fu demolito il muro divisorio che divedeva la vecchia basilica dalla nuova. Nello stesso tempo si procedette alla realizzazione delle volte delle cappelle laterali e nel 1616 fu conclusa la Confessione. Nel contempo numerose maestranze lavorarono all’apparato decorativo, iniziato già nel 1576 con il rivestimento a mosaico della cappella Gregoriana e proseguito, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, con la decorazione musiva della grande cupola e della cappella Clementina.[29] Nella definizione dell’apparato ornamentale ebbero un ruolo fondamentale Gian Lorenzo Bernini e i suoi aiuti, che lavorarono all’ottagono sotto la cupola e al rivestimento dell’involucro maderniano.[30]

La basilica, completata con le grandi statue alla sommità della facciata, fu consacrata da papa Urbano VIII il 18 novembre 1626.[31] Urbano VIII, salito sul soglio pontificio nel 1623, ebbe un ruolo importante nell’ideazione e progettazione della nuova basilica. Egli fece innalzare il proprio sepolcro con una statua in bronzo somigliante a quella bronzea di San Pietro, inoltre, negli anni trenta del secolo, fece decorare i quattro altari sotto la cupola con simboli araldici e dagli stemmi di famiglia, così da esaltare la sua figura e la sacralità del suo potere.[32]

Il rivestimento in marmo delle grandi paraste dell’interno, fino ad allora trattate in finto marmo bianco, si concretizzò solo a partire dal pontificato di papa Pio IX, con la realizzazione di alcune basi; i lavori furono ripresi sotto papa Pio X, nel 1913, prolungandosi fino all’epoca di papa Pio XII.[33]

Piazza San Pietro

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Piazza San Pietro.

Piazza San Pietro

La basilica vista da oltre il colonnato del Bernini

Interno e controfacciata

La sistemazione della piazza fu realizzata da Gian Lorenzo Bernini, sotto Alessandro VII, tra il 1657 ed il 1667. La soluzione finale tenne conto di problemi liturgici, simbolici e delle emergenze architettoniche preesistenti. Lo spazio antistante alla basilica fu suddiviso in due parti: la prima, a forma di trapezio rovescio con il lato maggiore lungo la facciata, la quale, grazie al particolare effetto prospettico, assumeva dimensioni meno imponenti; la seconda di forma ovale con l’imponente colonnato architravato sormontato da sculture. Nel progetto berniniano compariva uno spicchio centrale “il nobile interrompimento”[34] in prosecuzione del colonnato, che, se realizzato, avrebbe nascosto la piazza e la basilica rispetto alla veduta frontale.

Per realizzare il suo progetto Bernini demolì la torre dell’orologio innalzata solo pochi anni prima da Martino Ferrabosco sul lato nord della piazza e pose in asse con la via di Borgo Nuovo il portone in bronzo che conduceva, tramite la Scala Regia, alla Cappella Sistina e ai Palazzi Vaticani; creò così un suggestivo percorso che accompagnava lo spettatore dalle anguste e articolate strade della “Spina di Borgo” alla grandiosità della piazza San Pietro, tagliandola però in maniera asimmetrica, sul lato nord, così da offrire suggestivi e sempre nuovi scorci verso la facciata della basilica e rendendo nuovamente la cupola michelangiolesca l’elemento di spicco dell’intera composizione.[35] Le aspirazioni del Bernini furono comunque stravolte con lo sventramento del rione di Borgo e l’apertura dell’attuale via della Conciliazione (19361950), che resero la facciata della basilica una monumentale quinta al termine di un lungo asse rettilineo.

Gli architetti della basilica

Descrizione

La basilica di San Pietro è uno dei più grandi edifici del mondo: lunga ben 218 metri[36] e alta fino alla cupola 133,30 metri,[37] la superficie totale è di circa 23 000 metri quadrati e può contenere 60.000 fedeli (secondo altre fonti 20.000[38]).

L’edificio è interamente percorribile lungo il suo perimetro, benché sia collegato ai Palazzi Vaticani mediante un corridoio sopraelevato disposto lungo la navata destra e dalla Scala Regia a margine della facciata su Piazza San Pietro; due corridoi invece lo uniscono all’adiacente Sacrestia. Nonostante questo aspetto tradisca l’idea di una costruzione isolata al centro di una vasta piazza, come probabilmente l’aveva pensata Michelangelo Buonarroti, la presenza di passaggi sopraelevati, che non interferiscono con il perimetro della basilica, permette ugualmente di cogliere la complessa articolazione del tempio. L’esterno, in travertino, è caratterizzato dall’uso di un ordine gigante oltre il quale è impostato l’attico. Questa configurazione si deve sostanzialmente a Michelangelo Buonarroti e fu mantenuta anche nel corpo longitudinale aggiunto da Carlo Maderno.

Invece, lungo le navate, presso i 45 altari e nelle 11 cappelle che si aprono all’interno della basilica, sono ospitati diversi capolavori di inestimabile valore storico e artistico, come diverse opere di Gian Lorenzo Bernini e altre provenienti dalla chiesa paleocristiana, come la statua bronzea di san Pietro (n. 89), attribuita ad Arnolfo di Cambio.

La facciata

La facciata

Larga circa 114,69 metri e alta 45,44 metri, venne innalzata da Carlo Maderno fra il 1607 e il 1614, ed è articolata mediante l’uso di colonne d’ordine gigante che inquadrano gli ingressi e la Loggia delle Benedizioni, il luogo dove viene annunziata ai fedeli l’elezione del nuovo papa; al di sotto si trova un altorilievo di Ambrogio Buonvicino, intitolato Consegna delle Chiavi, del 1614 circa. Nella trabeazione, al di sotto del frontone centrale, è impressa l’iscrizione

(LA)« IN HONOREM PRINCIPIS APOST PAVLVS V BVRGHESIVS ROMANVS PONT MAX AN MDCXII PONT VII » (IT)« In onore del principe degli apostoli; Paolo V Borghese Pontefice Massimo Romano anno 1612 settimo anno del pontificato »

La facciata è preceduta da due statue raffiguranti san Pietro e san Paolo, scolpite rispettivamente da Giuseppe De Fabris e Adamo Tadolini nel 1847 per sostituire quelle precedenti, compiute da Paolo Taccone e Mino del Reame nel 1461. Sulla sommità sono disposte le statue, alte anche oltre 5,7 m, di Gesù, Giovanni Battista e di undici dei dodici apostoli (manca san Pietro). Ai lati della medesima sono collocati due orologi realizzati nel 1785 da Giuseppe Valadier, l’orologio a sinistra, detto Oltremontano, indica l’ora reale, quella basata sul fuso orario, mentre quello di destra, detto Italiano, indica l’ora italica solare con inizio del conteggio al tramonto d’ogni giorno e il compimento della ventiquattresima ora al tramonto successivo; inoltre, altra differenza, quello di sinistra ha le due classiche lancette delle ore e dei minuti mentre quello di destra ha un’unica lancetta.

Sotto l’orologio di sinistra si trova la cella campanaria al cui interno sono ospitate le 6 campane: al centro del finestrone la campana maggiore realizzata dal Valadier nel 1785, ai lati superiori le due campane minori; all’interno, dietro al campanone, il “Campanoncino” del 1725 e dietro la “Rota” del XIII secolo; sopra a queste la “Predica” del XIX secolo.

La facciata è stata restaurata in occasione del giubileo del 2000, e riportata ai colori originariamente voluti da Maderno.[39]

Statua equestre di Carlo Magno, Agostino Cornacchini (1725)

Il portico

Varcato il cancello centrale, si accede a un portico che si estende per tutta la larghezza della facciata e sul quale si aprono i cinque accessi alla basilica.

L’atrio è fiancheggiato da due statue equestri: Carlo Magno, a sinistra, di Agostino Cornacchini (1725, n. 2) e, sul lato opposto, Costantino, creata dal Bernini nel 1670 e che sottolinea l’ingresso ai Palazzi Vaticani attraverso la Scala Regia (n. 8). Alcuni stucchi arricchiscono tutta la volta sovrastante, ideati da Martino Ferrabosco ma realizzati da Ambrogio Buonvicino, a cui appartengono anche le trentadue statue di papi collocate ai lati delle lunette.

Sulla parete sopra l’accesso principale alla basilica è riportato un importante frammento del mosaico della Navicella degli Apostoli, eseguito da Giotto per la primitiva basilica e collocato nell’attuale sede solo nel 1674 (n. 1).

Le porte

L’atrio con la Porta del Filarete

Per entrare nella basilica, oltrepassata la facciata principale, vi sono cinque porte.

La porta all’estrema sinistra è stata realizzata da Giacomo Manzù nel 1964, ed è nota come Porta della Morte (n. 3): venne commissionata da Giovanni XXIII e prende questo nome poiché da questa porta escono i cortei funebri dei Pontefici.[40] È strutturata in quattro riquadri; nel principale vi è la raffigurazione della deposizione di Cristo e della assunzione al cielo di Maria. Nel secondo sono rappresentati i simboli dell’Eucaristia: pane e vino, richiamati simbolicamente da tralci di vite e da spighe tagliate. Nel terzo riquadro viene richiamato il tema della morte. Sono raffigurati l’uccisione di Abele, la morte di Giuseppe, il martirio di san Pietro, la morte dello stesso Giovanni XXIII che non visse abbastanza per vederla (in un angolo è richiamata l’enciclicaPacem in Terris“), la morte in esilio di Gregorio VII e sei animali nell’atto della morte. Dal lato interno alla basilica vi è l’impronta della mano dello scultore e un momento del Concilio Vaticano II, quello in cui il cardinale Rugambwa, primo cardinale africano, rende omaggio al papa.

Segue la Porta del Bene e del Male (n. 4), opera di Luciano Minguzzi che vi ha lavorato dal 1970 al 1977.

La Porta Centrale, o Porta del Filarete (n. 5), fu ordinata da papa Eugenio IV ad Antonio Averulino detto appunto il Filarete e venne eseguita tra il 1439 e il 1445 per l’accesso alla basilica costantiniana. È realizzata in due battenti di bronzo e ogni battente è diviso in tre riquadri sovrapposti. Nei riquadri in alto sono rappresentati a sinistra Cristo in trono a destra Madonna in trono; nei riquadri centrali sono rappresentati san Pietro e san Paolo, il primo mentre consegna le chiavi a papa Eugenio IV, il secondo rappresentato con la spada e un vaso di fiori. I riquadri inferiori rappresentano il martirio dei due santi. A sinistra la decapitazione di san Paolo, a destra la crocifissione capovolta di san Pietro. I riquadri sono incorniciati da girali animati con profili di imperatori e nell’intercapedine fra questi vi sono fregi con episodi del pontificato di Eugenio IV. Dal lato interno vi è l’insolita firma dell’artista. Questo ha rappresentato i suoi allievi al seguito di un mulo che lui stesso cavalca.

A destra rispetto alla precedente si trova la Porta dei Sacramenti (n. 6) realizzata da Venanzo Crocetti e inaugurata da papa Paolo VI il 12 settembre 1965. Sulla porta è rappresentato un angelo che annuncia i sette sacramenti.[41]

La porta più a destra è la Porta santa (n. 7) realizzata da Vico Consorti, fusa in bronzo dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli nel 1950 e donata a papa Pio XII. Nelle sedici formelle che la costituiscono si può vedere lo stesso Pio XII e la bolla di Bonifacio VIII che indisse il primo Giubileo nel 1300. Al di sopra sono presenti alcune iscrizioni: PAVLVS V PONT MAX ANNO XIII, mentre quella appena sopra la porta recita GREGORIVS XIII PONT MAX. In mezzo a queste due scritte sono presenti alcune lastre che commemorano le recenti aperture.

IOANNES PAVLVS II P.M.
PORTAM SANCTAM
ANNO IVBILAEI MCMLXXVI
A PAVLO PP VI
RESERVATAM ET CLAVSAM
APERVIT ET CLAVSIT
ANNO IVB HVMANE REDEMP
MCMLXXXIII – MCMLXXXIV
IOANNES PAVLVS II P.M.
ITERVM PORTAM SANCTAM
APERVIT ET CLAVSIT
ANNO MAGNI IVBILAEI
AB INCARNATIONE DOMINI
MM-MMI
PAVLVS VI PONT MAX
HVIVS PATRIARCALIS
VATICANAE BASILICAE
PORTAM SANCTAM
APERVIT ET CLAVSIT
ANNO IVBILAEI MCMLXXV
Nel giubileo dell’anno 19831984 dall’umana redenzione, Giovanni Paolo II, Pontefice Massimo, aprì e chiuse la porta santa, chiusa e sigillata da papa Paolo VI nel 1976. Giovanni Paolo II, Pontefice Massimo, nuovamente aprì e chiuse la porta santa nell’anno del Grande Giubileo dall’incarnazione del Signore 20002001. Paolo VI, Pontefice Massimo, aprì e chiuse la porta santa di questa basilica patriarcale vaticana nell’anno del Giubileo del 1975.

La navata principale

La navata centrale della basilica arricchita con decorazioni di Gian Lorenzo Bernini e aiuti

L’immenso spazio interno, lungo 186,36 metri (la scritta all’ingresso riporta 837 P.R. che sta per palmi romani), è articolato in tre navate per mezzo di robusti pilastri sui quali si aprono grandi archi a tutto sesto, alti 23 metri e larghi 13. La superficie calpestabile è di 15 160 metri quadrati. La navata centrale è lunga 90 metri (dalla controfacciata ai primi pilastri della cupola), larga 26 metri e alta circa 45 metri e da sola copre circa 2 500 metri quadrati di superficie. È coperta da un’ampia volta a botte e culmina, dietro al colossale Baldacchino di San Pietro, nella monumentale Cattedra.

Planimetria

Particolarmente ricercato è il disegno del pavimento marmoreo, in cui sono presenti elementi provenienti dalla precedente basilica, come il disco in porfido rosso egiziano sul quale si inginocchiò Carlo Magno il giorno della sua incoronazione (la cosiddetta Rota Porphyretica). Il pavimento marmoreo sostituisce quello precedenti in mattoni (quest’ultimo inizialmente presente solo nel corpo aggiunto da Maderno) e fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini per il giubileo del 1650, assieme alle decorazioni della navata.[42]Diecimila metri quadrati di mosaici rivestono poi le superfici interne e si devono all’opera di numerosi artisti che operarono soprattutto tra il Seicento e il Settecento, come Pietro da Cortona, Giovanni De Vecchi, Cavalier d’Arpino e Francesco Trevisani.

Fino all’intersezione col transetto, nelle nicchie ricavate nei pilastri posti sulla destra dell’ingresso, si trovano le statue di: Santa Teresa di Gesù (1754), Santa Maddalena Sofia Barat (1934), San Vincenzo de’ Paoli (di Pietro Bracci, 1754), San Giovanni Eudes (1932), San Filippo Neri (di Giovanni Battista Maino, 1737), San Giovanni Battista de La Salle (1904), l’antica statua bronzea di san Pietro (Arnolfo di Cambio) e San Giovanni Bosco (1936). Sui pilastri di sinistra: San Pietro d’Alcántara (1713), Santa Lucia Filippini (1949), San Camillo de Lellis (1753), San Luigi Maria Grignion de Montfort (1948), Sant’Ignazio di Loyola (1733, di Camillo Rusconi), Sant’Antonio Maria Zaccaria (1909), San Francesco di Paola (di Giovanni Battista Maino, 1732) e San Pietro Fourier (1899).

Le acquasantiere, alte quasi due metri, furono realizzate tra il 1722 e il 1725 su disegno di Agostino Cornacchini. Constano di due conche in giallo di Siena, opera di Giuseppe Lironi, e due coppie di putti di Francesco Moderati e Giovanni Battista de Rossi.

La navata destra

La Pietà di Michelangelo

Nella prima cappella a destra (n. 9) è collocata la celebre Pietà di Michelangelo, opera degli anni giovanili del maestro (1499) e che colpisce per l’armonia e il candore delle superfici; la scultura è protetta da una teca di cristallo a seguito dei danneggiamenti subiti nel 1972, quando un folle vi si avventò contro, colpendola in più punti con un martello.

Oltrepassati il monumento a Leone XII (183536) e il seicentesco monumento a Cristina di Svezia, rispettivamente di Giuseppe de Fabris e Carlo Fontana (n. 10, 11), segue quindi la Cappella di San Sebastiano (n. 13), ove è collocato il grande mosaico del Martirio di san Sebastiano, realizzato sulla base di un dipinto del Domenichino da Pier Paolo Cristofari; nella cappella, coperta da una volta decorata con mosaici di Pietro da Cortona, sono conservati anche i monumenti realizzati nel corso del Novecento per Pio XI e Pio XII (n. 12, 14). Nell’altare della cappella è collocata la tomba del santo Giovanni Paolo II, ivi posta dopo l’esposizione in occasione della Beatificazione.

Procedendo oltre, si trovano i monumenti a Innocenzo XII (di Filippo della Valle, 1746, n. 15) e a Matilde di Canossa (di Gian Lorenzo Bernini, 163337, n. 16), che precedono l’ingresso alla Cappella del Santissimo Sacramento (n. 17), schermata da una cancellata ideata da Francesco Borromini. La cappella fu progettata da Carlo Maderno per raccordare la basilica michelangiolesca con il corpo longitudinale seicentesco. All’interno si trova il tabernacolo del Santissimo Sacramento, realizzato in bronzo dorato da Gian Lorenzo Bernini nel 1674, prendendo a modello il tempietto bramantesco di San Pietro in Montorio. La pala d’altare, raffigurante la Trinità, è opera di Pietro da Cortona. All’esterno, la cappella, caratterizzata da un soffitto più basso rispetto al corpo della basilica, è chiusa da un alto attico, così da celare, a una vista dal basso, la differenza di quota della copertura. Nella cappella del Santissimo Sacramento avveniva il rituale del “bacio del piede” della salma del papa defunto, vale a dire l’ostensione ai fedeli delle spoglie mortali dei pontefici defunti, prima delle esequie. Tale prassi sarà interrotta da Pio XII, per il quale l’ostensione avvenne nella navata centrale.

Due monumenti, rispettivamente a Gregorio XIII (Camillo Rusconi, 1723, n. 18) e a Gregorio XIV (n. 19), chiudono la navata destra prima dell’ambulacro che corre intorno alla cupola.

La navata sinistra

Alessandro Algardi, tomba di Leone XI

La navata si apre con la Cappella del Battesimo (n. 71), progetta da Carlo Fontana e decorata con mosaici del Baciccio completati poi da Francesco Trevisani; il mosaico che troneggia dietro l’altare fu composto a imitazione di un dipinto di Carlo Maratta, ora collocato nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.

Subito oltre è situata la tomba di Maria Clementina Sobieski (Pietro Bracci, 1742, n. 70) e quindi il Monumento agli Stuart (Antonio Canova, 1829, n. 69). Nell’adiacente Cappella della Presentazione (n. 67) è conservato il corpo di Pio X, mentre lungo le pareti sono sistemati i monumenti a Giovanni XXIII e Benedetto XV, realizzati nel corso del XX secolo (rispettivamente n. 66 e 68).

Nello spazio delimitato dal pilastro della navata si trovano quindi il monumento a Pio X (1923, n. 65) e la tomba di Innocenzo VIII (n. 64), eseguita da Antonio Pollaiolo (XV secolo).

Un’altra cancellata del Borromini delimita la Cappella del Coro (n. 63), speculare proprio a quella del Santissimo Sacramento, di cui riprende anche la suddetta configurazione esterna. In corrispondenza dell’ultimo pilastro che precede l’ambulacro sono situati i monumenti a Leone XI (Alessandro Algardi, 1644, n. 61) e a papa Innocenzo XI (n. 60).

L’ambulacro

Bertel Thorvaldsen, monumento a Pio VII

L’ambulacro, ovvero lo spazio che circonda i quattro pilastri che sorreggono la cupola, introduce verso il cuore della basilica così come l’aveva pensata Michelangelo Buonarroti.

Sul pilastro posto in corrispondenza con la navata destra si erge l’altare di San Girolamo (n. 20), con la tomba di papa Giovanni XXIII posta alla base di un grande mosaico riproducente un dipinto del Domenichino.

La cappella compresa tra quella del Santissimo Sacramento e il transetto è quella Gregoriana (n. 21). Essa è chiusa da una cupola incastonata all’interno della cortina muraria della basilica, ma all’esterno è sormontata da una delle due cupole ornamentali che circondano quella maggiore. Qui è situata la tomba di Gregorio XVI (Luigi Amici, 184857, n. 22). La parete nord è delimitata dall’altare della Madonna del Soccorso (n. 23), accanto al quale si trovano la tomba di Benedetto XIV (n. 25) e l’altare di San Basilio (n. 24), impreziosito da un mosaico settecentesco.

Oltrepassando il transetto si trova il monumento a Clemente XIII (Antonio Canova (178792, n. 31), di fronte al quale è posto l’altare della Navicella (n. 32). Seguono gli altari di San Michele Arcangelo (n. 33), Santa Petronilla (n. 34) e San Pietro che risuscita Tabita (n. 36); la parete ovest ospita il monumento a Clemente X, opera tardoseicentesca di Mattia de Rossi (n. 35).

Tomba di Alessandro VII

Il lato sud dell’ambulacro è caratterizzato da una riproduzione in mosaico della celebre Trasfigurazione di Raffaello Sanzio, collocata sul pilastro posto a chiusura della navata sinistra (n. 59). L’adiacente cappella, analoga alla Gregoriana, è detta Clementina (n. 58), e qui riposano i resti di Gregorio Magno (n. 56) e Pio VII (n. 57, di Bertel Thorvaldsen, 1831, unico artista non cattolico ad aver lavorato per la basilica). L’altare della Bugia (n. 55), ornato ancora con un mosaico settecentesco, si trova dinnanzi al monumento a Pio VIII (Pietro Tenerani, 1866, n. 54); da qui, un corridoio conduce alla grande Sacrestia della basilica vaticana, posta all’esterno della chiesa stessa.

Invece, oltrepassato il transetto meridionale, si osserva il monumento a papa Alessandro VII, notevole opera di Gian Lorenzo Bernini (n. 47), in cui il papa è mostrato assorto in preghiera, con la morte, raffigurata da uno scheletro che sorregge una clessidra, che precede una porta, il simbolico passaggio verso all’aldilà.

Seguono l’altare del Sacro Cuore di Gesù (n. 48, con il suo mosaico risalente solo agli anni trenta del XX secolo) e quindi la Cappella della Vergine della Colonna (n. 44), ove si trovano l’omonimo altare e quello dedicato a san Leone Magno (n. 45), con una grandiosa pala d’altare marmorea di Alessandro Algardi (164553) L’ambulacro si chiude con il settecentesco altare di San Pietro che guarisce un paralitico (n. 43) e il monumento a papa Alessandro VIII (n. 42).

Il transetto

Il transetto settentrionale, verso i Palazzi Vaticani, fu costruito su progetto di Michelangelo Buonarroti, che eliminò il deambulatorio previsto dai suoi predecessori, murando gli accessi al corridoio esterno, non realizzato, e ricavandovi alcune nicchie sormontate da ampi finestroni rettangolari. Le nicchie ospitano tre altari, dedicati a san Venceslao (n. 27), sant’Erasmo (n. 29) e, al centro, ai santi Processo e Martiniano (n. 28).

Il transetto meridionale, analogo al precedente, è caratterizzato da altrettanti altari, intitolati a san Giuseppe (al centro, n. 51), alla crocefissione di Pietro (n. 52) e a san Tommaso (n. 50).

La cupola di Michelangelo vista dall’esterno della basilica

Lungo il transetto, nelle nicchie ricavate nei pilastri, sono collocate statue di santi; nel transetto destro: San Bonfiglio Monaldi (1906), San Giuseppe Calasanzio (1755), San Paolo della Croce (1876) e San Bruno (1744); nel transetto sinistro: San Guglielmo da Vercelli (1878), San Norberto (1767), Sant’Angela Merici (1866) e Santa Giuliana Falconieri (1740).

La cupola

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Cupola di San Pietro.

Con oltre 133 metri di altezza, 41,50 metri di diametro (di poco inferiore però a quello del Pantheon di Roma) e 537 scalini dalla base dell’edificio fino alla lanterna, la cupola è l’emblema della stessa basilica e uno dei simboli dell’intera città di Roma.[43]

La cupola di Michelangelo vista dall’interno della basilica

Poggia su un alto tamburo (costruito sotto la direzione di Michelangelo), definito all’esterno da una teoria di colonne binate e aperto da sedici finestroni rettangolari, separati da altrettanti costoloni. Quattro immensi pilastri, di 71 metri di perimetro, sorreggono l’intera struttura, il cui peso è stimato in 14 000 tonnellate.

Come detto, la cupola fu costruita in soli due anni da Giacomo Della Porta, seguendo i disegni di Michelangelo, il quale però forse aveva previsto una cupola perfettamente sferica, almeno secondo quanto attestato dalle incisioni di Stefano Dupérac pubblicate poco dopo la morte dell’artista. Neanche il modello ligneo della cupola, conservato all’interno della basilica, aiuta a rivelare le vere intenzioni di Michelangelo. Il modello fu realizzato tra il 1558 e il 1561, quando i lavori del tamburo erano già stati cominciati, ma fu successivamente modificato e presenta alcune sostanziali differenze nella concezione della calotta e degli altri dettagli ornamentali. Del resto, Michelangelo si era riservato per sé il diritto di apportare modifiche alla struttura dell’intera basilica, per la quale non è giunto sino a noi nessun progetto definitivo, quindi la presenza di un modello non era da considerarsi strettamente vincolante ai fini della realizzazione dell’opera.[44] Lo dimostrano, ad esempio, i timpani dei sedici finestroni che segnano il perimetro del tamburo: nel modello sono tutti di forma triangolare, mentre nella cupola vera e propria presentano forme curve e triangolari alternate.

In ogni caso, l’attuale configurazione della cupola si deve a Della Porta, che per prevenire dissesti strutturali la realizzò, tra il 1588 e il 1593, a sesto rialzato, circa 7 metri più alta rispetto a quella michelangiolesca, e cinse la base con catene di ferro. Ciò nonostante, nel corso dei secoli, a causa del manifestarsi di pericolose lesioni, soprattutto nel tamburo, si resero necessari altri interventi di consolidamento, a opera dell’ingegnere Giovanni Poleni, con l’inserimento nella struttura del tamburo e della cupola di altre catene.

Dal punto di vista strutturale è costituita da due calotte sovrapposte, secondo quanto già realizzato a Firenze dal Brunelleschi: la calotta interna, più spessa, è quella portante, mentre quella esterna, rivestita in lastre di piombo ed esposta agli agenti atmosferici, è di protezione alla prima. Ottocento uomini lavorarono al completamento della cupola che, nel 1593, fu chiusa con la svettante lanterna dotata di colonne binate.

Il Baldacchino di San Pietro di G.L. Bernini

Cattedra di San Pietro

Secondo l’incisione di Dupérac, altre quattro cupole minori, puramente ornamentali, avrebbero dovuto sorgere attorno alla maggiore per esaltarne la centralità, tuttavia furono portate a termine solo quelle sovrastanti le cappelle Gregoriana e Clementina.

La decorazione interna fu realizzata secondo la tecnica del mosaico, come la maggior parte delle raffigurazioni presenti in basilica: eseguita dai citati Cavalier d’Arpino e Giovanni De Vecchi per volontà di papa Clemente VIII, presenta scene col Cristo, gli apostoli e busti di papi e santi. La scalinata che permette di salire in cima alla cupola ha un particolare disegno a listoni a sbalzo ed è realizzata in cotto ferentinate.

L’altare papale

Lo spazio sottostante la cupola è segnato dal monumentale Baldacchino di San Pietro (n. 82), ideato dal genio di Gian Lorenzo Bernini e innalzato tra il 1624 e il 1633. Realizzato col bronzo prelevato dal Pantheon, è alto quasi 30 metri ed è sorretto da quattro colonne tortili a imitazione del Tempio di Salomone e del ciborio della vecchia basilica costantiniana, le cui colonne erano state recuperate e inserite come ornamento nei pilastri della cupola michelangiolesca. Al centro, all’ombra del Baldacchino, avvolto dall’immenso spazio della cupola, sorge l’Altare papale, detto di Clemente VIII (che lo consacrò nel 1594), collocato sulla verticale esatta del Sepolcro di San Pietro.

Lungo i quattro immensi pilastri che circondano l’invaso della cupola si trovano le sculture ordinate da Urbano VIII: sono San Longino (n. 88) di Gian Lorenzo Bernini (1639), Sant’Elena (n. 84) realizzata da Andrea Bolgi nel 1646, Santa Veronica (n. 80) di Francesco Mochi (1632), e infine Sant’Andrea (n. 76) di François Duquesnoy (1640).

Il coro

La struttura del coro è analoga a quella del transetto ed è dominata, al centro della parete che chiude la basilica, la Cattedra di San Pietro (n. 39), un monumentale reliquiario opera di Gian Lorenzo Bernini e contenente la cattedra dell’epoca paleocristiana, sorretta dalle statue dei quattro Padri della Chiesa e illuminata dalla sfolgorante apparizione della colomba.

A sinistra della cattedra si trova il monumento a Paolo III, realizzato da Guglielmo Della Porta (n. 40). Alla destra invece sorge il Sepolcro di Urbano VIII (n. 38), eseguito ancora dal Bernini, che vi lavorò a partire dal 1627: il complesso è dominato dalla statua del papa in atto di benedire, con ai lati del sarcofago le figure allegoriche della Carità e della Giustizia. Al centro uno scheletro scrive l’epitaffio.

Sui pilastri sono collocate le statue di San Domenico (1706), San Francesco Caracciolo (1834), San Francesco d’Assisi (1727) e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1839).

Le Grotte Vaticane e i livelli inferiori

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Grotte vaticane, Tomba di Pietro e Necropoli vaticana.

Tomba di Paolo II

Dall’alto verso il basso, si riconoscono in San Pietro quattro livelli:

  • l’attuale piano di calpestio (pavimento) della basilica;
  • il piano inferiore occupato dalle Grotte Vaticane;
  • il piano di calpestio, ormai obliterato, della primitiva basilica costantiniana;
  • l’antico piano di campagna, ottenuto da Costantino mediante sbancamento e riempimento della pendenza originaria del Colle Vaticano.

Le cosiddette Grotte Vaticane, ricavate nel dislivello tra la nuova e la vecchia basilica e attraversate dalle fondazioni di sostegno delle strutture superiori, hanno forma di una chiesa sotterranea a tre navate, e sono usate per luogo di sepoltura di molti pontefici. Dal piano della basilica superiore, proprio di fronte all’altare papale che è sovrastato dal Baldacchino del Bernini, scende al piano inferiore una doppia scalinata, recinta da un’elegante balaustra sulla quale ardono 99 lampade votive. Ci si trova così nella cosiddetta Confessione di San Pietro (n. 65), opera di Carlo Maderno. Qui si trova la nicchia dei pallii, splendente per il mosaico del Cristo Pantocratore.[45] Sotto l’icona, la preziosa cassetta contiene i pallii (ossia stole di lana con ricami di croci) che il papa conferisce ai neoeletti vescovi metropoliti per segnare il loro legame con lo stesso apostolo. Dietro la cassetta, si vede un residuo della parete marmorea del sepolcro eretto dall’imperatore Costantino per il Principe degli Apostoli. Infatti sul fondo della nicchia dei Pallii si apre la botola bronzea (cataracta o billicus confessionis) che, fin dalla costruzione della prima basilica, dava accesso alla sepoltura di Pietro.[46] Normalmente si scende alle Grotte non dalla scalinata centrale, ma da scale a chiocciola ricavate nello spessore dei quattro pilastri che sorreggono la cupola. Nelle ore di maggiore affluenza, l’accesso avviene dall’esterno, lungo il fianco destro della basilica.

Il papa Pio XII, appena eletto (1939), promosse la ricerca archeologica con i nuovi scavi, che nell’arco di dieci anni, dapprima, riportarono alla luce il pavimento dell’antica basilica costantiniana e, successivamente, i resti di una necropoli romana, che occupava il pendio del colle Vaticano, e che fu interrata (come solo l’imperatore poteva ordinare) dai costruttori della prima basilica. La presenza di questo spazio cimiteriale confermerebbe così la convinzione che il luogo di sepoltura di San Pietro si trovasse proprio nel luogo in cui gli fu eretto dapprima un sepolcro e poi la basilica.

A seguito della campagna di scavi, nel 1953 furono rinvenute alcune ossa avvolte in un prezioso panno di porpora; esse provenivano con attendibilità da un loculo della stessa necropoli in cui si riconosceva una scritta incompleta in greco con il nome di Pietro.[47] Questo ritrovamento dette al papa Paolo VI la convinzione che doveva trattarsi con ogni probabilità dei resti del corpo di san Pietro;[48] i resti furono quindi ricollocati nella posizione sotterranea originaria, la quale corrisponde esattamente alla verticale dei tre successivi altari papali, del baldacchino bronzeo che li sovrasta, e della cupola che tutti li avvolge.[49]

Le sale ottagone e i livelli superiori

Modello dell’organo di Aristide Cavaillé-Coll, conservato in una sala ottagona della basilica

Nello spazio compreso tra le volte delle navate minori e il tetto si aprono una serie di vasti locali. Quelli situati sulla verticale del nucleo cinquecentesco sono a pianta ottagonale e gravitano al di sopra degli archi che separano l’ambulacro dalla navata principale. Sono denominati: ottagono di Sant’Andrea, di Simon Mago (oggi altare del Sacro Cuore), dello Storpio, della Navicella, di San Basilio, di San Girolamo, di San Sebastiano e della Trasfigurazione.[50] Furono realizzati sotto la direzione di Antonio da Sangallo il Giovane, ma un disegno conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze lascia supporre la presenza sul cantiere dell’architetto Guidetto Guidetti.[51] Nell’ottagono di Simon Mago, che si apre a margine della cupola della Madonna della Colonna, sul lato sud-ovest della basilica, è ospitato l’archivio storico della Fabbrica di San Pietro.[52] Le altre sale conservano numerosi modelli dei progetti allestiti per la basilica: si ricordano il celebre modello ligneo per il completamento del tempio vaticano costruito dal Sangallo in scala 1:30, quello della cupola di Michelangelo, quello della sagrestia progettata da Filippo Juvarra[53] e quello in scala 1:10 dell’imponente organo, mai realizzato, ideato da Aristide Cavaillé-Coll.[54]

Lungo il corpo longitudinale della basilica si trovano invece alcuni ambienti a pianta rettangolare. Quelli posti lungo il lato meridionale sono denominati uno “Stanza degli Architetti” e l’altro “Stanza dei Vetri”; occupano un volume di oltre mille metri cubi e la loro altezza originaria variava rispettivamente da 11,50 a 15,50 metri. Erano utilizzati come ambiente di lavoro dal Vanvitelli e i suoi collaboratori, chiamati a decidere sul restauro della cupola di Michelangelo. Le due sale furono restaurate alla fine degli anni ottanta del Novecento, con la realizzazione di solai intermedi in ferro; questo permise di aumentare lo spazio a disposizione (da 135 a oltre 400 metri quadri), al fine di soddisfare le crescenti necessità della Fabbrica di San Pietro.[55]

Gli organi

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Organo della basilica di San Pietro in Vaticano.

L’organo maggiore della basilica, che trova posto tra il baldacchino e la cattedra di San Pietro, è stato costruito da Tamburini nel 1962.[56] I corpi d’organo sono due, situati nei transetti di coro della basilica rispettivamente in Cornu Epistulae e in Cornu Evangelii, e corrispondono ai due organi costruiti all’inizio del XX secolo dagli organari Carlo Vegezzi Bossi e Walcker. Il primo corpo d’organo comprende i registri della seconda e terza tastiera, il secondo quelli della prima e della quarta. I registri di pedale sono ripartiti nei due corpi come da necessità foniche. La consolle è posta accanto al corpo d’organo di sinistra all’interno degli stalli destinati alle cantorie. Un’altra consolle, utilizzata per le celebrazioni che si svolgono in piazza San Pietro, è stata costruita nel 1999 dall’organaro Mascioni. La trasmissione è elettrica.

Attualmente (2012), gli organisti attivi nella basilica sono James Edward Goettsche (organista titolare della basilica vaticana), Juan Paradell Solé (organista titolare della pontificia cappella musicale “Sistina”) e Gianluca Libertucci (organista del vicariato della Città del Vaticano).

La disposizione fonica rivela che si tratta di un normale, e neppur tanto grande, organo sinfonico tipico dell’epoca in cui è stato concepito.

Nella basilica, oltre a questo strumento, ce ne sono altri tre:

  • l’organo Morettini della cappella del Coro (1887), a due tastiere e pedaliera;
  • l’organo Tamburini della cappella del Coro (1974), a due tastiere e pedaliera;
  • l’organo Morettini della cappella del Santissimo Sacramento (1914), a unica tastiera e pedaliera, con cassa riccamente intagliata di Giacomo della Porta.

Le campane[modifica | modifica wikitesto]

La Basilica possiede un concerto di sei campane fuse in epoche e fonditori differenti incastellate con sistema a slancio veloce su un castello ligneo risalente alla fine del XVIII secolo.[senza fonte]:

N. Nome Nominale
(1/16 Semitono116)
Fonditore Anno di Fusione Diametro
(mm)
Peso approssimativo
(kg)
Posizione
1 Campanone Mi2 +5 Luigi Valadier 1785 2 316 8 950 Finestra – Centrale
2 Campanoncino Si♭2 −6 Innocenzo Casini 1725 1 772 3 640 Interno 1
3 Campana della Rota Re3 −6 Guidotto Pisano 1280 circa 1 361 1 735 Interno 2
4 Campana della Predica Fa3 −8 Giovanni Battista Lucenti 1909 1 085 830 Interno in alto sopra Campanoncino e Rota
5 Ave Maria Si3 −5 Daciano Colbachini 1932 750 250 Finestra, alto-destra
6 Campanella Do4 −3 Luigi Lucenti 1825 730 235 Finestra, alto-sinistra

Al centro il campanone e ai lati le due campane minori sul lato sinistro del prospetto principale

Dal conclave del 2005 le campane di San Pietro hanno un importante ruolo: il loro suono è il segnale definitivo dell’esito positivo del conclave. Questo provvedimento è stato attuato per fugare ogni dubbio sul colore della fumata che precede l’Habemus Papam.

  • Suonata Feriale/Festiva: rintocchi 3-4-5-1 sul campanone per gli Angelus.

Nei giorni festivi seguito da una suonata a doppio veloce sul campanone, Sib2 e Fa3.

  • Suonata Festiva: distesa delle 4 campane minori, ossia: Si3, Sib3, Fa3, Re3
  • Suonata Festiva per le Lodi e il Vespro: distesa del Si3 e poi suonata a doppio su Sib2 e Fa3 poi sul campanone, Sib2 e Fa3.
  • Suonata per le Solennità Liturgiche: distesa delle 5 campane minori, ossia: Si3, Sib3, Fa3, Re3, Sib2.
  • Il “plenum”, cioè la distesa di tutte e 6 le campane avviene per le maggiori solennità dell’Anno Liturgico: al canto del Gloria durante la Veglia Pasquale, al canto del Gloria durante la Messa della Notte di Natale, e per la Benedizione Urbi et Orbi e per la festa dei patroni di Roma Santi Pietro e Paolo il 29 giugno dopo l’angelus, oltre che all’elezione del nuovo Papa.
  • suonata a morto: Distesa del campanone per annunciare la morte del Pontefice regnante e come segno messa per il funerale.
  • Il 28 febbraio 2013 suonarono a “Plenum” come saluto a sua santità Benedetto XVI mentre si apprestava a lasciare il papato tramite dimissioni.
  • nei giorni festivi dopo l’Angelus delle ore 7 di mattina viene eseguito un doppio veloce su campanone si 2 e Fa 3 .

La sagrestia

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Sagrestia di San Pietro in Vaticano.

Interno della Sagrestia Comune

Originariamente la sagrestia era situata presso la Rotonda di Sant’Andrea (o chiesa di Santa Maria della Febbre), un edificio a pianta centrale posto sul lato sud della basilica; esso era sorto come mausoleo funebre d’epoca imperiale e sopravvisse fino alla seconda metà del XVIII secolo.

Dopo vari tentativi non concretizzati, il concorso per la costruzione della nuova sagrestia fu indetto intorno al 1715 e tra i vari partecipanti primeggiò il progetto di Filippo Juvara, che presentò un modello ligneo oggi conservato presso i depositi della basilica. Tuttavia, i costi elevati dell’opera ne impedirono la realizzazione.

Tabernacolo di Donatello

Solo nel 1776, papa Pio VI commissionò a Carlo Marchionni l’attuale edificio, i cui lavori furono conclusi nel 1784. La Sagrestia disegnata da Marchionni si inserisce tra le principali architetture romane di fine Settecento, ma non risulta particolarmente innovativa, tentando di armonizzarsi con lo stile della basilica. All’epoca della costruzione essa fu criticata persino dallo studioso Francesco Milizia (17251798), che per questo motivo fu costretto ad abbandonare la città.[57]

Si tratta di un edificio esterno alla basilica, posto sulla sinistra della medesima; due corridoi sostenuti da arcate a sesto ribassato, la collegano alla navata di San Pietro, in corrispondenza della tomba di Pio VIII e della Cappella del Coro. All’interno di questo articolato volume, che in pianta e in alzato si presenta come l’aggregazione di diversi corpi di fabbrica, si apre la sala ottagonale della Sagrestia Comune, coperta da una grande cupola e affiancata dalle sacrestie dei Canonici e dei Beneficiati, dalla Sala del Capitolo e dalle stanze del Tesoro di San Pietro, dove sono conservati numerosi oggetti sacri. Nella sagrestia dei Beneficiati si trovava il Tabernacolo del Sacramento di Donatello e Michelozzo (14321433), ora esposto nell’adiacente Museo del Tesoro.

La Fabbrica di San Pietro

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Fabbrica di San Pietro e A ufo.

All’insieme delle opere necessarie per la sua realizzazione edile e artistica, fu preposto un ente, la Reverenda Fabrica Sancti Petri, del quale recentemente il Vaticano ha aperto gli archivi agli studiosi: fra i preziosi documenti catalogati vi sono migliaia di note, progetti, contratti, ricevute, corrispondenze (ad esempio fra Michelangelo e la Curia), che costituiscono una documentazione del tutto sui generis sulla quotidianità pratica degli artisti coinvolti. L’ente è tuttora operante[58] per la gestione del complesso.

È da segnalare che l’immenso cantiere della basilica non passò inosservato alla cultura popolare romana: per far passare i materiali per il cantiere alle dogane senza che essi pagassero il dazio si incideva su ogni singolo collo l’acronimo A.U.FA. (Ad Usum FAbricae: [destinato] ad essere utilizzato nella fabbrica [di San Pietro]). Nella tradizione popolare romana nacque subito la forma verbale “auffo” o “auffa”, tuttora utilizzata a Roma, per indicare qualcuno che vuole ottenere servigi o beni in modo gratuito. Sempre a Roma, ancora oggi, quando si parla di un lavoro perennemente in cantiere si è soliti paragonarlo alla Fabbrica di San Pietro.

Le dimensioni della basilica

La basilica di San Pietro è la più grande chiesa cattolica. Sul pavimento della navata centrale, muovendo dall’ingresso verso l’abside, si vedono inserite nel marmo delle stelle dorate: esse indicano la lunghezza totale (misurata dall’abside di San Pietro) di parecchie grandi chiese sparse nel mondo.[59]

Il primato solo apparentemente le era stato tolto nel 1989 dalla basilica di Nostra Signora della Pace di Yamoussoukro,[60] nella Costa d’Avorio, edificio ispirato proprio alle forme della basilica romana e propagandisticamente definito la “basilica più grande del mondo”: in realtà si tratta solo della “basilica più alta del mondo” (158 m), mentre l’edificio è notevolmente più piccolo di quello di San Pietro.[61]

La sommità della cupola, a Roma popolarmente detta “palla”

Lunghezza massima esterna : 218 m
Lunghezza interna : 186,36 m
Lunghezza dell’atrio : 71 m
Altezza delle volte: circa 45 m
Altezza della cupola: 133,30 m (136,57 m secondo alcune fonti)[62]
Altezza del baldacchino : 28 m
Altezza della facciata : 45,44 m (48 m con le statue)
Altezza dell’atrio : 19 m
Larghezza della navata centrale: 26 m
Larghezza del tamburo della cupola : 41,50 m
Larghezza della facciata : 114,69 m
Superficie dell’edificio : 23 000 m² (di cui calpestabili 15 160)
Numero gradini alla salita della cupola : 537[63]

La basilica di San Pietro come modello

Le forme della basilica di San Pietro, e in particolare quella della sua cupola, hanno fortemente influenzato l’architettura delle chiese cristiane occidentali. Ad esempio, il modello di San Pietro fu ripreso, già nel corso del Seicento, nella cupola della basilica romana di Sant’Andrea della Valle.[64] Si ritiene che da San Pietro, oltre che dalla cupola di Santa Maria della Salute a Venezia, derivino anche le cupole a calotte separate che trovano nella cattedrale di St. Paul a Londra (1675) e nel Pantheon di Parigi (di Jacques-Germain Soufflot) due dei massimi esempi.[65], e anche se costruita in modo tecnicamente diverso, la cupola di Les Invalides a Parigi (1680-1691). Il revival dell’architettura, che caratterizzò il periodo compreso tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, portarono alla costruzione di un gran numero di chiese ispirate, in maniera più o meno consistente, alla basilica petrina, tra cui la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Chicago (dal 1899), la basilica di San Giosafat a Milwaukee (1901), la chiesa del Cuore Immacolato di Maria a Pittsburgh (1904), la basilica di Oudenbosch (1865-1892), e la Cattedrale di Maria Regina del Mondo di Montreal (1875-1894), che replica molti aspetti di San Pietro su una scala più piccola. La seconda metà del Novecento ha visto adattamenti liberi di San Pietro nella Basilica di Nostra Signora di Licheń, la Basilica di Nostra Signora della Pace di Yamoussoukro e la Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio a Napoli.

Arciprete della basilica

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Arciprete della Basilica Vaticana.

L’arciprete è il decano fra i presbiteri di una parrocchia, responsabile per la corretta esecuzione dei doveri ecclesiastici e per lo stile di vita dei curati a lui sottoposti.

Nel caso della Basilica Vaticana è il massimo responsabile dell’attività cultuale e pastorale della basilica. La carica dell’arciprete è antichissima ed è riservata ad un cardinale; attualmente mantiene l’incarico, dal 31 ottobre 2006, il cardinale Angelo Comastri.

Dal 1991, abolita la figura del Vescovo Sacrista di Sua Santità, che dalla creazione dello Stato Vaticano nel febbraio del 1929 era anche Vicario Generale dello Stato della Città del Vaticano, i suoi compiti sono stati assegnati all’arciprete della Basilica Vaticana.

Basilica di San Paolo fuori le mura

La Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura è una delle quattro basiliche papali di Roma, la seconda più grande dopo quella di San Pietro in Vaticano.

Sorge lungo la via Ostiense, nell’omonimo quartiere, vicino alla riva sinistra del Tevere, a circa 2 km fuori dalle mura aureliane (da cui il suo nome) uscendo dalla Porta San Paolo. Si erge sul luogo che la tradizione indica come quello della sepoltura dell’apostolo Paolo (a circa 3 km dal luogo – detto “Tre Fontane” – in cui subì il martirio e fu decapitato); la tomba del santo si trova sotto l’altare papale. Per questo, nel corso dei secoli, è stata sempre meta di pellegrinaggi; dal 1300, data del primo Anno Santo, fa parte dell’itinerario giubilare per ottenere l’indulgenza e vi si celebra il rito dell’apertura della Porta Santa. Fin dall’VIII secolo la cura della liturgia e della lampada votiva sulla tomba dell’apostolo è stata affidata ai monaci benedettini dell’annessa abbazia di San Paolo fuori le Mura.

L’intero complesso degli edifici gode del beneficio dell’extraterritorialità della Santa Sede, pur trovandosi nel territorio della Repubblica Italiana. Su di esso la Santa Sede gode di piena ed esclusiva giurisdizione nonché del divieto, da parte dello Stato Italiano, di attuare espropriazioni o imporre tributi[2].

Il luogo rientra nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco dal 1980.

Prima della basilica

L’area in cui sorge la basilica di San Paolo fuori le mura, al 2º miglio della Via Ostiense, era occupata da un vasto cimitero subdiale (da sub divos = sotto gli dèi, vale a dire a cielo aperto), in uso costante dal I secolo a.C. al III secolo d.C. ma sporadicamente riutilizzato, soprattutto per la costruzione di mausolei, fino alla tarda antichità. Era un cimitero esteso e comprendeva diverse tipologie di tombe, dai colombari di famiglia a piccole cappelle funerarie spesso affrescate e decorate con stucchi. La quasi totalità di quest’area sepolcrale è ancora sepolta (per la gran parte sotto il livello del vicino Tevere), ed è stimata estendersi sotto tutta l’area della basilica e della zona circostante. Una minima ma significativa parte di essa è visibile lungo la Via Ostiense, appena fuori del transetto nord della basilica.

Dalla sepoltura di Paolo a Costantino

È nell’area dove sorge l’attuale basilica, che la tradizione afferma che Paolo di Tarso sia stato sepolto, dopo aver subito il martirio sullo stesso luogo. Sia Paolo che Pietro sarebbero caduti vittime della persecuzione neroniana seguita al grande incendio di Roma del 64. Secondo alcune teorie i due sarebbero stati martirizzati proprio nel 64, dopo l’incendio. Secondo Eusebio di Cesarea invece i due sarebbero stati uccisi nel 67. Una tradizione vuole che una matrona (tale Lucina, ma il nome è quasi sicuramente frutto di leggende successive) abbia messo a disposizione una tomba per seppellire i resti dell’apostolo[3].

Come per il sepolcro di Pietro anche quello di Paolo divenne immediatamente oggetto di venerazione per la nutrita comunità cristiana di Roma che relativamente presto eresse, sulle tombe dei due, dei piccoli monumenti funerari. Eusebio di Cesarea riporta nella sua Storia ecclesiastica un passo di una lettera di Gaio, presbitero sotto papa Zefirino, che cita i due trofei posti sopra le tombe degli apostoli, uno sul colle Vaticano e l’altro lungo la Via Ostiense.

Il luogo, meta di pellegrinaggi ininterrotti dal I secolo, venne monumentalizzato, come testimoniato dal Liber Pontificalis, dall’imperatore Costantino I, con la creazione di una piccola basilica, di cui si conserva solo la curva dell’abside, visibile nei pressi dell’altare centrale della basilica attuale ed orientato in direzione opposta all’attuale. Doveva trattarsi di un piccolo edificio probabilmente a tre navate, che ospitava in prossimità dell’abside la tomba di Paolo, ornata da una croce dorata.

La basilica di Costantino venne consacrata il 18 novembre 324 durante il pontificato di Silvestro I, e si inserisce nella serie di basiliche costruite dall’imperatore dentro ma soprattutto fuori della città, ed è la seconda fondazione costantiniana in ordine di tempo, dopo la cattedrale dedicata al Santo Salvatore (l’attuale basilica di San Giovanni in Laterano).

La basilica dei Tre Imperatori

La basilica di San Paolo costantiniana risultò nel tempo inadeguata per la folla dei pellegrini che vi si recavano; essa era molto più piccola rispetto alla coeva basilica di San Pietro. Venne quindi ricostruita completamente sotto il regno congiunto degli imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II (391), e tale struttura rimarrà sostanzialmente intatta fino al disastroso incendio del 1823.

La costruzione venne affidata a Ciriade professor mechanicus che costruì un edificio a cinque navate, con 80 colonne e un quadriportico che si differenziava dal precedente, oltre che per le dimensioni anche per l’opposto orientamento dell’abside, che la basilica mantenne anche dopo l’incendio del 1823. La basilica fu consacrata da papa Siricio nel 390 e venne completata sotto l’imperatore Onorio nel 395.

Successive aggiunte, come l’arco trionfale retto da colonne monumentali e lo splendido mosaico che lo decorava, sono attribuibili rispettivamente ai restauri compiuti da Galla Placidia e agli interventi di papa Leone I. Quest’ultimo fece realizzare i tondi con i ritratti papali che correvano sopra le arcate della navata centrale; alcuni di essi, sopravvissuti all’incendio, sono conservati nella Raccolta De Rossi, nell’attiguo monastero, insieme ad altri restaurati nel corso dei secoli. Nel programma musivo leoniano erano comprese anche scene dell’Antico Testamento e degli Atti degli Apostoli rispettivamente sulla navata destra e sinistra, e l’arco absidale con il Cristo entro un clipeo che regge una Croce, e dodici Vegliardi dell’Apocalisse ai suoi lati, e le immagini di San Pietro e San Paolo nei pennacchi, soggetto ripreso dal rifacimento successivo all’incendio. Una testa di San Pietro a mosaico, potentemente espressiva, per anni ritenuta facente parte della facciata della basilica vaticana e oggi conservata nelle Grotte Vaticane, è stata riconosciuta come parte della figura dell’apostolo sull’arco absidale. A papa Leone I va anche attribuito un rialzamento del transetto, per il quale fu necessario innalzare il punto devozionale corrispondente alla tomba dell’apostolo.

Il ciborio di Arnolfo di Cambio (1285)

A papa Simmaco si deve la ristrutturazione dell’abside pericolante e la realizzazione di “habitacula”, delle dimore per i pellegrini più poveri, rinnovate poi da papa Sergio I.

La basilica da Gregorio I al 1823

Sotto il pontificato di papa Gregorio I la basilica venne modificata drasticamente. Il livello pavimentale venne rialzato, soprattutto nel settore del transetto, per realizzare l’altare direttamente sopra la tomba di Paolo (in precedenza l’altare doveva trovare la sua collocazione presso la navata centrale, mentre sulla tomba vi era un basso monumento, racchiuso da transenne marmoree). Un’operazione del tutto analoga fu compiuta per la basilica di San Pietro. L’esito fu quello di poter realizzare anche una Confessione, cioè un piccolo accesso posto sotto il livello del transetto, dal quale si poteva raggiungere la tomba dell’apostolo.

Ad Adriano I si deve il rifacimento del pavimento dell’atrio, e al suo successore Leone III la collocazione del primo pavimento in marmo. Nel IX secolo per preservare la basilica Giovanni VIII la fa circondare da una cinta di mura fortificata con torri, creando un vero e proprio borgo soprannominato “Giovannipoli”. Nell’XI secolo viene eretto il campanile accanto alla navata nord dalla parte della facciata. La basilica si impreziosì poi di un ciborio, realizzato nel 1285 da Arnolfo di Cambio, della struttura del chiostro e di un candelabro per il cero pasquale.

Sotto Clemente VIII, nel 1600, fu costruito l’altare maggiore e nel 1724 Benedetto XIII fece costruire la Cappella del Crocifisso, oggi intitolata al Santissimo Sacramento, per accogliere un crocifisso ligneo del XIV secolo, attribuito a Tino di Camaino.

L’incendio del 1823

L’interno della basilica subito dopo l’incendio da una stampa di Luigi Rossini

La notte del 15 luglio 1823 nella basilica si sviluppò un incendio che durò cinque ore circa, distruggendone una gran parte. Il rogo fu provocato dalla negligenza di uno stagnaio, che, dopo aver aggiustato le grondaie del tetto della navata centrale, dimenticò acceso il fuoco che aveva usato per il lavoro. Un buttero, Giuseppe Perna, che pascolava il bestiame nelle vicinanze lanciò l’allarme quando l’incendio era comunque già avviato. Avvisati da Perna, i Vigili del Fuoco, al comando del marchese Origo, arrivarono in circa due ore. Dopo l’incendio rimasero in piedi poche strutture. Il transetto miracolosamente aveva retto al crollo di parte delle navate e resistito alle altissime temperature dell’incendio, preservando il ciborio di Arnolfo di Cambio ed alcuni mosaici. Si salvarono anche l’abside, l’arco trionfale, il chiostro e il candelabro, ma si dovettero ricostruire gran parte delle strutture murarie. In quell’epoca il dibattito sulle varie teorie del restauro era già piuttosto avanzato rispetto alla scarsa attenzione del passato. Per questo e anche per espressa volontà dei Papi (v. più avanti), pur con l’utilizzo di nuovi materiali reso necessario dall’entità della distruzione la ricostruzione rispecchio fedelmente l’architettura dell’antica Basilica costantiniana, di modo che tra le quattro principali basiliche romani quella di S. Paolo è quella che maggiormente richiama la forma della basilica iniziale.

Durante la notte del 15 luglio Pio VII, che era caduto il 6 luglio fratturandosi un femore,[4] era in agonia e non gli venne comunicata la notizia dell’incendio. Morirà il 20 agosto.[5]

La basilica attuale

La ricostruzione fu voluta da Leone XII, che il 25 gennaio 1825 emanò l’enciclica Ad plurimas nella quale invitava i vescovi ad una raccolta di offerte presso i fedeli per la ricostruzione. All’appello rispose buona parte del mondo cristiano, con offerte generose tra le quali quelle del Re di Sardegna, della Francia, delle Due Sicilie, dei sovrani dei Paesi Bassi, dello zar Nicola I che offrì i blocchi di malachite dei due altari laterali del transetto e del viceré d’Egitto che inviò le colonne d’alabastro. Proprio il dono dello zar fece sì che non si potesse più collocare nella chiesa l’altare a cui avevano lavorato Camillo Rusconi e Luigi Mirri, che venne così donato da Pio IX alla Cattedrale di Forlì in occasione di un suo viaggio in quella città, nel 1857[6].

Lo stesso Leone XII, in un chirografo del 18 settembre 1825 pose le basi per il progetto:

« Vogliamo in primo luogo che sia soddisfatto compiutamente il voto degli eruditi, e di quanti zelano lodevolmente la conservazione degli antichi monumenti nello stato in cui sursero per opera di’ loro fondatori. Niuna innovazione dovrà dunque introdursi nelle forme e proporzioni architettoniche, niuna negli ornamenti del risorgente edificio, se ciò non sia per escluderne alcuna piccola cosa che in tempi posteriori alla sua primitiva fondazione poté introdurvisi dal capriccio delle età seguenti[7][8]. »
(Leone XII, chirografo 1825)

I lavori, diretti dall’architetto Pasquale Belli (che lavorava su un progetto iniziale di Giuseppe Valadier) poterono iniziare l’anno successivo, con la demolizione dell’Arco di Galla Placidia ed il reinserimento del quadriportico.

L’interno della basilica dopo la ricostruzione in una fotografia d’epoca. In fondo alla navata si nota il baldacchino del Poletti, poi demolito, che racchiudeva il ciborio di Arnolfo.

L’attuale aspetto della basilica è però dovuto, in massima parte, all’architetto Luigi Poletti. Una prima consacrazione avvenne il 5 ottobre 1840 ad opera di Gregorio XVI, che dedicò solennemente l’altare della Confessione, ma l’intera basilica venne consacrata da Pio IX il 10 settembre 1854, alla presenza di un gran numero di cardinali e di vescovi, presenti a Roma per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione. I lavori comunque andarono oltre, entro il 1874 furono completati i mosaici della facciata, mentre solo nel 1928 fu aggiunto il vasto quadriportico esterno, disegnato da Guglielmo Calderini e formato da quasi 150 colonne.

Il 23 aprile 1891 lo scoppio della polveriera del Forte Portuense mandò in frantumi le vetrate a colori eseguite da Antonio Moroni nel 1830: al loro posto furono sistemate sottilissime lastre di alabastro donate da re Fuad I d’Egitto.

Nel dicembre 2006 furono ultimati alcuni lavori di ristrutturazione nella zona davanti all’altare papale, più bassa rispetto al pavimento della basilica: con la demolizione dell’altare che era presente in questa zona, è stato reso in parte visibile il sarcofago marmoreo che si trova sotto l’altare papale e che, secondo la tradizione, contiene i resti mortali dell’apostolo Paolo. È anche visibile la traccia della piccola abside appartenente alla chiesa più antica e orientata in senso contrario rispetto alla basilica attuale (l’abside era anticamente rivolta verso ovest, mentre oggi è rivolta verso est).

All’interno della Basilica sono stati inumati a tutt’oggi solo due papi: San Felice III e Giovanni XIII.

Descrizione

L’intera basilica, lunga 131 metri, larga 65, alta 29,70[9] è imponente e rappresenta per grandezza la seconda delle quattro basiliche patriarcali di Roma.

Esterno

Il lato d’ingresso del quadriportico

Quadriportico

Il corpo della basilica è preceduto dal cortile quadriporticato (70 metri di lato) realizzato tra il 1890 e il 1928 da Guglielmo Calderini su progetto iniziale di Luigi Poletti.

Mentre il nartece, ovvero il portico che costeggia la facciata della basilica, ha una sola fila di colonne, i due laterali hanno una doppia fila, quello che si trova sul lato opposto presenta una tripla fila di colonne più alte e robuste rispetto alle altre. Le pareti laterali sono decorate con medaglioni raffiguranti i simboli degli apostoli e alcuni discepoli di San Paolo. Nei medaglioni del lato d’ingresso, invece, sono raffigurati i dodici apostoli.

Al centro del cortile si trova la statua di San Paolo, realizzata in marmo di Carrara da Giuseppe Obici.

Il quadriportico ha subito significativi danneggiamenti in seguito al terremoto del 30 ottobre 2016.

Facciata

I mosaici della facciata

La facciata sopra il colonnato è decorata con dei mosaici eseguiti fra il 1854 e il 1874 su cartoni di Filippo Agricola e Nicola Consoni che si ispirarono per quanto possibili a quello originale del X secolo. Il mosaico è suddiviso in tre fasce. In quella inferiore, su sfondo oro, alternati alle finestre sono raffigurati i quattro profeti dell’Antico Testamento: Isaia, Daniele, Geremia ed Ezechiele. Sopra di essi, prima del cornicione, vi è una fascia con l’Agnus Dei sul monte del paradiso da cui sgorgano i quattro fiumi simboleggianti i Vangeli, nei quali si dissetano dodici agnelli, che simboleggiano gli apostoli. Nel timpano triangolare, infine, vi è raffigurato Cristo benedicente posto in mezzo a San Paolo e San Pietro e la striscia centrale

Nel nartece, arricchito anch’esso, come gli altri tre lati del quadriportico, da marmi policromi nel rivestimento delle pareti, si aprono i cinque portali che permettono l’accesso alla basilica. Fra le porte, quella centrale, che è la più grande, risale al 1931 ed è opera di Antonio Maraini. Essa, alta 7,48 metri e larga 3,35 raffigura degli episodi della vita dei santi Pietro e Paolo ed è realizzata in bronzo e decorata da una croce realizzata con la tecnica dell’agemina in argento ed incrostata di lapislazzuli.

La porta di destra, risalente all’XI secolo è la più antica: divisa in 54 pannelli nei quali sono incise scene di vita di Gesù e dei suoi apostoli, è chiamata Porta Bizantina e fungeva da ingresso principale fino al 1967 quando è stata invece scelta per chiudere dall’interno il vano della Porta Santa. Quest’ultima, opera di Enrico Manfrini, misura 3,71 metri in altezza e 1,82 in larghezza, illustra sull’esterno il tema della Trinità e reca alla base un distico augurale in latino: Ad sacram Pauli cunctis venientibus aedem – sit pacis donum perpetuoquoe salus (A quanti vengono nel santo tempio di Paolo sia concesso il dono della pace e della salvezza eterna)[10].

Area archeologica

Ingresso all’area archeologica

Durante lavori di scavo effettuati nel 2008-2009 per la costruzione di un nuovo edificio di servizio è emerso nell’area dell’orto dell’abbazia un complesso di reperti altomedievali. I ritrovamenti, ben musealizzati grazie alla collaborazione tra vari soggetti istituzionali (Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Scuola di Specializzazione in Beni architettonici e del paesaggio della “Sapienza”), sono stati aperti al pubblico il 1º luglio 2013.

Vi sono stati identificati:

  • un’area di cantieri edili riferibile ad un lungo periodo dall’VIII al XV sec. (vasche per la preparazione della malta, marmi pronti per essere cotti e produrre calce, una calcara);
  • resti della tardoantica porticus sancti Pauli che dalla città conduceva al sepolcro di Paolo, a somiglianza di analoghe strutture che segnavano il percorso verso la tomba di Pietro e verso quella di Lorenzo (databile all’VIII sec.);
  • tracce di ambienti (ampi, e ritenuti perciò collettivi) relativi ad un monastero (inizialmente femminile) di S. Stefano, poi forse ricompreso nella Johannipolis fortificata[11].

Interno

L’interno

Navate

La basilica di San Paolo fuori le Mura presenta una pianta a croce latina; l’aula è divisa in cinque navate, separate da quattro file di 20 colonne monolitiche di granito di Montorfano, e prive di cappelle laterali. Il rivestimento delle pareti, come quello del pavimento, è in marmi policromi che compongono motivi geometrici. Lungo le due navate laterali più esterne, il transetto e la navata centrale si aprono i grandi finestroni ad arco a tutto sesto, chiusi con sottilissime lastre di alabastro sorrette da elaborate intelaiature in ferro battuto. Nella fascia immediatamente sopra gli archi che dividono le navate, vi è la serie dei tondi contenenti i ritratti di tutti i Pontefici, da San Pietro fino a papa Francesco. Realizzati con la tecnica del mosaico e su sfondo oro, furono iniziati nell’anno 1847, durante il pontificato di Pio IX. L’idea di questa serie di tondi ha le radici nell’antica basilica, poiché erano presenti anche in quest’ultima.

Sopra i medaglioni musivi, nella parte alta della navata centrale e del transetto, sono presenti 36 affreschi nei quali sono raffigurati degli episodi della vita di San Paolo, anch’essi voluti da Pio IX, ma terminati soltanto nel 1860. Durante i vari scavi e sondaggi compiuti dalla prima metà dell’Ottocento ad oggi sono emerse più di 1700 lastre con iscrizioni, che fungevano da lapidi per le oltre 5000 sepolture stimate ancora sotto il pavimento della basilica. Le basiliche martiriali (non solo di Roma) vennero infatti usate dal IV secolo in poi come enormi cimiteri coperti, con una densa stratificazione e numerosi casi di “furti di tombe”.

Arco di Galla Placidia

Dettaglio dell’arco.

L’arco trionfale, ovvero l’arco che separa il transetto dalla navata centrale, è detto di Galla Placidia, dal nome della committente dell’opera, che fece realizzare la decorazione musiva che lo ricopre tuttora durante il pontificato di Leone I. In esso vi sono due iscrizioni: la prima recita «Teodosio iniziò, Onorio compì / l’aula consacrata al corpo di Paolo dottore del mondo»[12] e fu ricollocata nella parte sommitale dell’arco dopo la demolizione e ricostruzione del XIX secolo; la seconda recita «La pia mente di (Galla) Placidia gioisce del decoro dell’opera paterna in tutto lo splendore dovuto alla cura del pontefice Leone».[13] Alcuni importanti restauri conservativi furono attuati durante il pontificato di Clemente XII (17311740). Dopo l’incendio del 1823, il mosaico venne staccato e sottoposto ad un intervento di restauro.

Al centro della composizione, al disopra dell’arco, è raffigurato Cristo Pantocratore iscritto dentro una circonferenza da cui fuoriescono dei raggi. Ai suoi lati, fra le nuvole rosse e verdi del cielo dorato, vi sono i quattro simboli degli Evangelisti: il bue di Luca e l’angelo di Matteo a sinistra; l’aquila di Giovanni e il leone di Marco a destra. Più in basso, ai due lati dell’arco, sono raffigurati ventiquattro uomini anziani disposti in quattro gruppi da sei, due per ogni lato. Indossano il pallio e portano una corona. Ancora più sotto, su sfondo blu scuro, vi sono le figure di san Paolo (a sinistra) e di san Pietro (a destra).

Transetto e cappelle laterali

Il transetto, il ciborio e l’abside

Il transetto riprende nella decorazione lo schema della navata centrale: le pareti sono decorate da marmi policromi e scandite da lesene corinzie nella fascia inferiore, mentre in quella superiore continuano gli affreschi sulla vita di San Paolo alternati ai finestroni in alabastro. Alle due testate vi sono due altari gemelli, realizzati con la malachite donata dallo zar di RussiaNicola I in stile neoclassico. I due altari sono dedicati alla Madonna (altare di destra, con pala raffigurante l’Incoronazione della Vergine e a San Paolo (altare di sinistra, con pala raffigurante la Conversione di San Paolo). Sul transetto si aprono quattro cappelle, due a destra e due a sinistra dell’abside, in corrispondenza alle relative navate laterali. Qui di seguito si descrivono a partire dall’estrema sinistra.

La prima è la cappella di Santo Stefano. Conserva all’interno il dipinto Martirio di Santo Stefano di Francesco Podesti e la statua del protomartire, di Rinaldo Rinaldi.

La seconda è la cappella del Santissimo Sacramento, scampata all’incendio del 1823; fu progettata da Carlo Maderno, che scolpì anche la statua di Santa Brigida qui conservata. Sull’altare si trova un pregevole crocifisso ligneo attribuito dal Vasari a Pietro Cavallini, ma più probabilmente di scuola senese di inizio Trecento. Secondo altri[14] l’autore del crocifisso è Tino da Camaino.

Procedendo verso destra e superata l’abside, la terza cappella del transetto è la cappella di San Lorenzo, già del Santissimo Sacramento, anch’essa del Maderno; contiene gli stalli intarsiati del coro dei monaci e alcuni dipinti di Giuseppe Ghezzi, fra cui l’Ultima Cena, posta sulla parete di destra. Sull’altare si può ammirare un trittico marmoreo di Andrea Bregno, del 1494[14].

L’ultima cappella è la cappella di San Benedetto, progettata dal Poletti con l’intento di riprodurre la cella di un tempio pagano[14]; conserva la statua marmorea di Pietro Tenerani ritraente il santo abate assiso in cattedra; le dodici colonne sono antiche, provenendo dall’antica città di Veio. All’ingresso di questa cappella una singolare acquasantiera ottocentesca rappresenta plasticamente l’azione salvifica dell’acqua benedetta[14].

Ciborio

Il ciborio

Al centro del transetto della basilica, sotto l’arco trionfale, si trova il Ciborio, opera mirabile in stile gotico di Arnolfo di Cambio che lo realizzò in collaborazione con Pietro di Oderisio[senza fonte] per volere dell’abate Bartolomeo. Realizzato in marmo, è costituito da un’edicola gotica sorretta da quattro colonne corinzie che ha alla base, in corrispondenza dei lati, quattro cuspidi che si aprono verso l’interno con degli archi a sesto acuto. Ai quattro angoli dell’edicola, entro delle nicchie sormontate da cuspidi triangolari, vi sono le statue di San Paolo, San Pietro, Timoteo vescovo e san Bartolomeo, a ricordo del committente. In alto, l’opera scultorea termina con un’alta cuspide sormontata da una croce dorata e sorretta da un piccolo loggiato con aperture di foggia gotica. Nel periodo immediatamente successivo alla riapertura della basilica ricostruita dopo il disastroso incendio del 1823, il ciborio venne coperto da un ampio baldacchino in stile neoclassico, poi demolito. Nei pressi del ciborio, si trova il Candelabro del cero pasquale, realizzato da Pietro Vassalletto e Nicolò D’Angelo nell’anno 1170 e raffigurante scene della vita di Gesù alternate a motivi floreali. Dinnanzi all’altar maggiore, vi è la Confessione, posta ad una quota più bassa rispetto alla navata centrale ed accessibile tramite due scale in marmo. Fino ai restauri del 2002, essa era utilizzata per la Messa feriale e vi era un altare addossato alla parete su cui poggia il ciborio gotico. Dopo i restauri suddetti, l’altare è stato demolito per lasciar spazio all’attuale apertura quadrangolare che permette di vedere sia il sarcofago dell’apostolo Paolo, sia l’abside della basilica costantiniana, che aveva orientamento inverso rispetto all’attuale.

Abside

Il mosaico absidale

Una delle strutture meno colpite dall’incendio del 1823 è stata l’ampia abside semicircolare, posta in asse con la navata centrale oltre il transetto. Al centro, vi è l’imponente cattedra, sopra la quale siede il papa quando celebra nella basilica. Il catino absidale è completamente decorato con il pregevole mosaico opera realizzata durante il pontificato di Onorio III (12161227) con l’aiuto di artigiani che avevano collaborato ai mosaici di San Marco a Venezia. L’insieme è dominato dalla figura del Redentore assiso in trono con il libro dei Vangeli aperto nella mano sinistra ed in atto di benedire. Ai suoi lati, vi sono i santi Pietro e Paolo alla sua destra, affiancati dalle figure dei santi Andrea apostolo e Luca evangelista, della medesima grandezza dei primi. Ai piedi del trono, è raffigurato Onorio III in abiti pontificali che rende omaggio a Cristo; esso è raffigurato in scala minore rispetto agli altri personaggi di questa parte di mosaico. Nella fascia inferiore incorniciata fra due greche geometriche, vi è al centro la Croce, affiancata da due angeli. Ai due lati, alternati da palme, appaiono dieci dei dodici apostoli. Ai piedi della croce, anche in questo caso più piccoli delle altre figure della fascia, vi sono il Papa Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini e già abate di San Paolo fuori le Mura, il monaco Ardinolfo e i Cinque Santi Innocenti, il cui santuario principale è stata la basilica di san Paolo fino alla traslazione delle loro reliquie in quella di Santa Maria Maggiore per volere di papa Sisto V.

Organi

Organo maggiore

L’organo maggiore fu donato da Leone XIII alla basilica nel 1885: proveniva dalla basilica di San Giovanni in Laterano ed era opera dei fratelli Serassi. In seguito al suo spostamento, venne collocato nel transetto sinistro della basilica sopra l’originaria pedana-cantoria dotata di ruote. Nel 1895 subisce un primo intervento ad opera dell’organaro veronese Domenico Farinati che lo amplia e trasforma la sua trasmissione da meccanica in pneumatica realizzando anche una nuova consolle. In occasione del matrimonio fra il futuro re Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro (24 ottobre 1896), lo strumento, sfruttando le ruote del basamento, venne spostato nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, luogo prescelto per la celebrazione del rito, con l’intervento dell’organaro Pacifico Inzoli che curò anche il ritorno alla basilica ostiense dello strumento. L’organo ha subito anche altri interventi, fra cui quello condotto da Carlo Vegezzi Bossi nel 1910. Nel 1975 e nel 19931995, l’organo è stato ulteriormente modificato ed ampliato dalla ditta Buccolini di Roma che, tra le altre cose, ha trasformato la trasmissione da pneumatica in elettrica e realizzato la nuova consolle, situata nell’abside maggiore. Attualmente (2011), lo strumento conta due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera di 32. La cassa dello strumento fu realizzata su disegno di Virginio Vespignani in stile neoclassico. Di seguito la disposizione fonica[1] dello strumento:

Prima tastiera – Grand’Organo


Principale 16′
Principale I 8′
Principale II 8′
Eufonio 8′
Flauto 8′
Dulciana 8′
Ottava I 4′
Ottava II 4′
Flauto 4′
XII 2.2/3′
Flauto in XII 2.2/3′
XV 2′
Ripieno Grave 5 file
Ripieno Acuto 4 file
Voce Umana 8′
Tromba 8′
Seconda tastiera – Espressivo


Principale 16′
Principale 8′
Flauto 8′
Viola 8′
Ottava 4′
Flauto 4′
Nazardo 2.2/3′
Flautino 2′
Ripieno 3 file
Voce Celeste 8′
Oboe 8′
Tremolo
Pedale


Contrabbasso 16′
Subbasso 16′
Salicionale 16′
Ottava 8′
Bordone 8′
Flauto 4′
Ripieno 7 file
Tromba 8′
Tromba 4′
Unioni e accoppiamenti


Unione I 16′ I
Unione I 4′ I
Unione II 16′ I
Unione II 8′ I
Unione II 4′ I
Unione II 16′ II
Unione II 4′ II
Unione I 8′ P
Unione II 8′ P
Unione I 4′ P
Unione II 4′ P
Organo della Cappella di San Lorenzo

Nella vasta nicchia a tutto sesto posta alla sinistra dell’altare della cappella di San Lorenzo si trova un piccolo organo a canne, qui collocato fra il 1925 e il 1930 in occasione dell’ampliamento della cappella e della costruzione della suddetta nicchia. Precedentemente, lo strumento si trovava nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, dalla quale fu rimosso nel 1911 in occasione della costruzione di un organo più grande. Lo strumento, costruito da William George Trice nel 1891 a trasmissione pneumatica tubolare, ha due tastiere di 58 note ed una pedaliera di 30. La sua disposizione fonica è la seguente:

Prima tastiera – Grand’Organo


Principale 8′
Bordone 8′
Dulciana 8′
Ottava 4′[15]
Ripieno 3 File
Seconda tastiera – Espressivo


Flauto 4′
Voce Celeste 8′
Salicionale 8′
Eolina 8′
Eufonio 8′
Pedale


Bordone 16′
Ottava 8′
Unioni


Unione II-I
Unione I-P

L’abbazia benedettina

Il chiostro dell’abbazia

San Paolo fuori le mura era in passato un’abbazia territoriale e l’abate era abate mitrato. L’abbazia territoriale è stata soppressa il 7 marzo 2005. Il 31 maggio 2005 papa Benedetto XVI con il motu proprio L’antica e venerabile Basilica[16] ha stabilito che anche per San Paolo, come per le altre tre basiliche papali di Roma, sia nominato dal Papa un arciprete, che eserciti la giurisdizione ordinaria ed immediata avendo come suo vicario per la pastorale l’abate dell’abbazia.

Celebri abati dell’abbazia sono stati il beato Ildefonso Schuster (poi cardinale e arcivescovo di Milano) e Giovanni Franzoni (prima sospeso a divinis a causa della sua aperta presa di posizione per la libertà di voto dei cattolici al referendum sul divorzio e poi dimesso dallo stato clericale, nel 1976).

Cronotassi degli abati di San Paolo fuori le Mura

Sede Vacante (1996-1997)
ultimo Abate di San Paolo ad essere anche “Ordinario”.

Arcipreti della Basilica di San Paolo fuori le Mura[modifica | modifica wikitesto]

Basilica di Santa Maria Maggiore

La papale basilica patriarcale maggiore arcipretale liberiana di Santa Maria Maggiore, conosciuta semplicemente con il nome di “basilica di Santa Maria Maggiore” o “basilica Liberiana” (perché sul suo sito il primo edificio di culto fu fatto erigere da Papa Liberio), è una delle quattro basiliche papali di Roma, situata nel Rione Monti. Collocata sulla sommità del colle Esquilino, è la sola ad aver conservato la primitiva struttura paleocristiana, sia pure arricchita da successive aggiunte.

L’arciprete della basilica è il cardinale Stanisław Ryłko, mentre il protocanonico onorario è di diritto il re di Spagna.

L’edificio della Basilica, comprese le scalinate esterne, costituisce area extraterritoriale a favore della Santa Sede. Non è cioè territorio del Vaticano, come comunemente si crede, ma territorio italiano con il privilegio del diritto di extraterritorialità. Essendo l’ampia scalinata posta ai piedi dell’abside anch’essa extraterritoriale, è oggi delimitata da una cancellata metallica, allo scopo di impedire che vi sostino dei passanti. Infatti, nel caso si rendesse necessario l’intervento di forze dell’ordine italiane, ciò creerebbe difficoltà giuridiche, poiché le autorità italiane hanno il divieto di accesso all’area.

La basilica gode, insieme ad altri immobili e in base ad accordi tra Stato italiano e Santa Sede, del privilegio di extraterritorialità e dell’esenzione da espropriazioni e da tributi, come stabilito dai Patti Lateranensi e formalizzato nell’Accordo di Villa Madama [1][2].

Fu fatta erigere da papa Sisto III (432-40), che la dedicò al culto della Madonna, la cui divina maternità era appena stata riconosciuta dal concilio di Efeso (431)[3].

Veduta dell’abside della basilica, opera di Carlo Rainaldi, sul fronte di piazza dell’Esquilino

La costruzione avvenne su una chiesa precedente, che una diffusa tradizione vuole sia stata la Madonna stessa ad ispirare apparendo in sogno a papa Liberio e al patrizio Giovanni e suggerendo che il luogo adatto sarebbe stato indicato miracolosamente. Così quando la mattina del 5 agosto un’insolita nevicata imbiancò l’Esquilino papa Liberio avrebbe tracciato nella neve il perimetro della nuova basilica, costruita poi grazie al finanziamento di Giovanni. Di questo antico edificio rimane il ricordo solo in un passo del Liber Pontificalis che afferma che Liberio «fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae».

Ad ogni modo il 5 agosto di ogni anno, in ricordo della Madonna della Neve, avviene la rievocazione del cosiddetto “miracolo della nevicata”: durante una suggestiva celebrazione viene fatta scendere dalla cupola della cappella Paolina una cascata di petali bianchi.

La chiesa precedente era dedicata alla fede nel Credo proclamato dal primo concilio di Nicea[3].

Descrizione

Pianta della basilica originaria

La basilica in una pubblicazione del 1842

La basilica costruita da papa Sisto III a partire dall’anno 432 si presentava a tre navate, divise da 21 colonne di spoglio per lato, sormontate da capitelli ionici, sopra le quali correva un architrave continuo. La navata centrale era illuminata da 21 finestre per lato (la metà delle quali furono successivamente tamponate) ed era sormontata da una copertura lignea con capriate a vista.

I mosaici

La navata venne decorata sempre in età sistina da splendidi mosaici, entro pannelli collocati sotto le finestre, in origine racchiusi da edicolette, con un ciclo di storie del Vecchio Testamento: storie di Abramo, Giacobbe, Isacco sul lato sinistro, Mosè e Giosuè su quello destro. Degli originari 42 riquadri, molti dei quali presentavano due scene sovrapposte, ne restano 27 (12 sulla parete sinistra e 15 sulla destra) dopo le distruzioni dovute alle aperture laterali settecentesche.

Si tratta certamente del primo ciclo figurativo apparso in una chiesa romana. Le storie veterotestamentarie mostrano indubbie tangenze stilistiche con il cosiddetto “Virgilio Vaticano”, manoscritto dell’Eneide conservato nella Biblioteca apostolica vaticana, e con la Bibbia detta Itala di Quedlinburg, ma sono stati notati anche legami con l’iconografia imperiale, secondo un processo di appropriazione dell’immagine e degli attributi visivi imperiali tipico dell’arte paleocristiana. Questi rapporti, nonché la disposizione non sempre cronologica delle scene e del tutto funzionale a ogni singolo episodio e a rispondenze ritmiche all’interno della serie, sottendono l’utilizzo di un piano figurativo appositamente studiato, forse addirittura dal giovanissimo Leone non ancora papa[4].

Queste storie presentano caratteri stilistici legati alla pittura tardoantica (una tradizione seicentesca che inizia con Ciampini voleva addirittura che fossero state realizzate nel IV secolo): ombreggiature, sfumature con passaggi di colore graduali, realistica raffigurazione dello spazio e dei volumi, macchie di colore, fondo cangiante in relazione al contrasto con le figure.

Più ieratiche e ritmicamente dilatate sono le scene dei mosaici dell’arco trionfale, rappresentanti alcuni momenti dell’Infanzia di Cristo, alcune delle quali tratte da Vangeli Apocrifi (Annunciazione, Presentazione al Tempio, Adorazione dei Magi, Incontro con il governatore Afrodisio, Strage degli innocenti, Re Magi presso Erode). In particolare, l’incontro con il governatore egiziano Afrodisio davanti alla città di Sotine, oltre ad essere un pendant visivo all’adorazione dei Magi sul lato opposto, è un episodio attestato solo in Santa Maria Maggiore, e tratto dai Vangeli apocrifi: Gesù, durante la fuga in Egitto, entra con i genitori nella città di Sotine, gli idoli pagani immediatamente cadono a terra e Afrodisio saluta il Bambino come Redentore. Alla sommità dell’arco, il Trono dell’Etimasia con una Croce, affiancato dai santi Pietro e Paolo, e sormontato dal Tetramorfo. Sotto, compare un pannello con l’iscrizione Xystus episcopus plebi Dei. Ai lati, le due città sante, Gerusalemme e Betlemme, all’interno delle quali si prolungano illusionisticamente i colonnati della basilica, a indicare in essa quasi un preludio alla Gerusalemme celeste.

Il disegno programmatico di questa decorazione sistina intendeva perciò riaffermare la divinità del Cristo incarnato nella Vergine, come ribadito nel recente Concilio di Efeso (431), e allo stesso tempo il primato della Chiesa romana nell’ecumene cristiano. La disposizione stessa delle scene veterotestamentarie, la scelta degli episodi dell’arco trionfale, la priorità delle rispondenze visive rispetto a quelle cronologiche, tutto converge nell’individuazione di una sorta di teologia visiva, di manifesto simbolico figurativo, che rappresentava una novità nel quadro della Roma di quegli anni cruciali del V secolo.

Gli interventi dal XII al XIV secolo: nuova abside e mosaici

Risalivano alla metà del XII secolo, al tempo di papa Eugenio III, il pavimento cosmatesco, rifatto nei restauri del Fuga, e un portico addossato alla facciata (rimaneggiato sotto Papa Gregorio XIII e poi distrutto nel Settecento per far posto alla nuova fronte barocca del Fuga).

La basilica fu oggetto di importanti interventi in vista del primo giubileo dell’anno 1300; in particolare durante il pontificato di Niccolò IV venne aggiunto il transetto e fu creata una nuova abside che venne decorata con ricchi mosaici realizzati da Jacopo Torriti (Incoronazione di Maria e Storie di Maria). Alla stessa epoca risalgono i mosaici della facciata, opera di Filippo Rusuti, la cui commissione è da riferire al cardinale Pietro Colonna, e la realizzazione della cappella del Presepe di Arnolfo di Cambio (distrutta per far posto alla Cappella Sistina). Le figure superstiti del presepe sono oggi esposte nel museo della basilica (vedi avanti).

Gli interventi del XV secolo: il soffitto d’oro della navata

Nel Quattrocento il cardinale Guglielmo d’Estouteville (1443-83) fece coprire con volte le navate laterali, mentre la navata centrale fu decorata da un ricco soffitto a cassettoni realizzato su progetto attribuito all’architetto Giuliano da Sangallo, su commissione del cardinale Rodrigo Borgia, salito al soglio pontificio col nome di Alessandro VI. Il soffitto cassettonato, riccamente intagliato, presenta al centro lo stemma araldico del pontefice, riconoscibile per la presenza del toro. Ogni elemento scolpito ha dorature a foglia d’oro che, secondo la tradizione, furono realizzate con il primo oro giunto dalle Americhe e donato dal sovrano spagnolo alla Chiesa.

L’interno

Gli interventi del XVI secolo: la Cappella Sistina

La cappella Sistina

Sisto V, grande protagonista della trasformazione urbanistica di Roma alla fine del XVI secolo, scelse la basilica come sede di fastosa sepoltura per sé medesimo, per la propria famiglia e per il suo grande protettore Papa Pio V Ghislieri. A questo scopo incaricò il suo architetto Domenico Fontana, nel 1585, di erigere una nuova cappella monumentale, dedicata al Santissimo Sacramento, memorabile – oltre che per gli arredi e i materiali impiegati – perché integrava in sé l’antico oratorio del Presepe, con le sculture di Arnolfo e le connesse reliquie della mangiatoia.

L’intero piccolo ambiente venne così spostato dalla sua posizione originaria (come annesso della navata destra) al centro della nuova cappella sotto l’altare, in una nuova cripta dotata di deambulatorio, come una vera e propria confessione. Per l’ornamentazione della cappella furono fra l’altro utilizzati marmi policromi e colonne provenienti dal Settizonio, mentre la decorazione cosmatesca dell’antica cappella venne trasferita a rivestire l’altare della nuova confessione sotto l’altare papale, il quale è sormontato da un prezioso ciborio, in cui sono scolpiti angeli in bronzo dorato che sostengono il modello della cappella medesima. Sisto V fece anche eseguire un ciclo di affreschi sulle murature che tamponarono alcune delle finestre paleocristiane.

Alla fine del secolo risale la Cappella Sforza eseguita su disegno di Michelangelo Buonarroti.

Gli interventi del XVII secolo: la Cappella Paolina

L’immagine della Salus populi romani

Nel giugno 1605 papa Paolo V Borghese decise di edificare in basilica la cappella di famiglia, a croce greca e delle dimensioni di una piccola chiesa. La parte architettonica venne affidata a Flaminio Ponzio, vincolato nella pianta dalla speculare cappella di Papa Sisto V. Completata la struttura nel 1611, la parte decorativa, con marmi colorati, ori e pietre preziose, venne terminata alla fine del 1616. Alle Pareti laterali sono poste le due tombe dei papi Clemente VIII e Paolo V, racchiuse in un’architettura ad arco trionfale con al centro la loro statua e bassorilievi pittorici.

La parte scultorea venne realizzata tra il 1608 e il 1615 da un eterogeneo gruppo di artisti: Silla Longhi, che ebbe la parte maggiore del lavoro realizzando le due statue papali, Ambrogio Buonvicino, Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo, Cristoforo Stati, Nicolas Cordier, Ippolito Buzio, Camillo Mariani, Pietro Bernini, Stefano Maderno e Francesco Mochi.

La direzione del lavoro pittorico venne affidata al Cavalier d’Arpino che realizzò i pennacchi della cupola e la lunetta sopra l’altare. Ludovico Cigoli realizzò la cupola mentre Guido Reni fu l’autore principale delle singole figure di santi alle quali posero mano anche il Passignano, Giovanni Baglione e Baldassarre Croce; successivamente il Lanfranco, secondo il Bellori, intervenne trasformando un angelo nella Vergine.

Sull’altare della cappella è l’icona della Salus populi romani, immagine dipinta della Vergine del tipo romano orientalizzante (secoli XII-XIII)[5].

L’esterno dell’abside, rivolto verso piazza dell’Esquilino, è opera di Carlo Rainaldi, che presentò a papa Clemente IX un progetto meno dispendioso di quello del contemporaneo Gian Lorenzo Bernini. Questo avrebbe fra l’altro comportato la distruzione dei mosaici dell’abside, che nel nuovo assetto sarebbe arrivata quasi all’altezza dell’obelisco retrostante.

Gli interventi dal XVIII secolo ai nostri giorni

Gli ultimi interventi di grande rilievo sull’esterno della basilica furono realizzati durante il pontificato di Benedetto XIV, che commissionò a Ferdinando Fuga il rifacimento della facciata principale, caratterizzata da un portico e da una loggia per le benedizioni, che fu eseguito tra il 1741 e il 1743. Al Fuga si deve anche il baldacchino della confessione, eretto su colonne di porfido.

La Confessione sotto l’altar maggiore fu voluta da Papa Pio IX e realizzata dal suo architetto preferito, Virginio Vespignani. Qui, in un reliquiario di cristallo realizzato da Luigi Valadier sono state riposte le reliquie della culla della natività.

Risale poi al 2001 la benedizione da parte di Papa Giovanni Paolo II della Porta Santa, opera dello scultore contemporaneo Luigi Enzo Mattei[6].

In Santa Maria Maggiore è sepolto Gian Lorenzo Bernini, nella tomba di famiglia.

Il museo della basilica

La scultura del presepio

“Sacra culla”, reliquia

Nel museo della basilica di Santa Maria Maggiore è attualmente conservata l’opera scultorea che per tanto tempo è stata considerata il presepio più antico fatto con statue. Si tratta di un’Adorazione dei Magi in pietra, comprensiva delle parziali figure del bue e dell’asino.

Tuttavia un’attenta osservazione dei gruppi scultorei denota che in realtà non si tratta di vere statue a tutto tondo, bensì di altorilievi scolpiti da blocchi di pietra, il cui dorso è visibilmente rimasto piatto, eccettuata la figura del Mago inginocchiato, che risulta essere stata completata successivamente a tutto tondo (cioè scolpendo anche il dorso) da un autore successivo ad Arnolfo di Cambio, così come è accaduto alla figura della Vergine col Bambino, che non è l’originale scolpita da Arnolfo. Le più recenti indagini, infatti, hanno evidenziato che essa sarebbe stata modificata in epoca rinascimentale, scolpendo e modificando la figura originale della Vergine di Arnolfo[7].

Fu il papa Niccolò IV che nel 1288 commissionò ad Arnolfo di Cambio una raffigurazione della “Natività”, che egli terminò di scolpire in pietra nel 1291. La tradizione di questa rappresentazione sacra ha origini sin dal 432 quando papa Sisto III (432440) creò nella primitiva basilica una “grotta della Natività” simile a Betlemme. La basilica prese la denominazione di Santa Maria ad praesepem (dal latino: praesepium = mangiatoia)[8]. I numerosi pellegrini che tornavano a Roma dalla Terra santa, portarono in dono preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum) oggi custoditi nella teca dorata della Confessione[9].

Organi

Organo maggiore

L’organo della basilica è collocato nelle due testate del transetto ed è opera della famiglia Mascioni. Realizzato nel 1955 su commissione di papa Pio XII, sostituisce un più antico organo, collocato sulla cantoria destra del transetto, realizzato nel 1716 dal sublacense Cesare Catarinozzi ed ampliato nell’Ottocento da una pedaliera scavezza a leggio di 18 tasti (do1-la2). L’organo non fu demolito, ma rimosso dalla sua collocazione originaria nel 1911 e spostato nella Parrocchiale di Aliforni (frazione di San Severino Marche, MC), ove si trova tuttora (2011).

Disposizione fonica dell’organo Catarinozzi
  • Flauto in XII (Soprani)
  • Principale (8′ Soprani)
  • Principale (8′ Bassi)
  • Ottava (4′)
  • XV
  • XIX
  • XXII
  • XXVI
  • XXIX
  • Tiratutti

L’organo Mascioni conta tre tastiere (Positivo, Grand’Organo e Espressivo) ed è a trasmissione elettro-pneumatica. Lo strumento è privo di cassa e i due prospetti sono esclusivamente composti dalle canne di facciata. L’attuale organista titolare è il Maestro Paolo Tagliaferri, che ricopre questa carica dal 2014.

Disposizione fonica dell’organo Mascioni[10]

Prima tastiera – Positivo

in Cornu Epistulae, aperto

  • Principale 8′
  • Flauto Aperto 8′
  • Corno di Camoscio 4′
  • XV 2′
  • Ripieno 4 file
  • Tromba Dolce 8′
  • Unda Maris 8′

in Cornu Evangeli, espressivo

  • Principale 8′
  • Corno di Notte 8′
  • Viola 8′
  • Flauto a Camino 4′
  • Nazardo 2’2/3′
  • Flagioletto 2′
  • Terza 1’3/5′
  • Cornetto Combinato
  • Cromorno 8′
  • Tremolo

Seconda tastiera – Grand’Organo

in Cornu Epistulae, aperto

  • Principale 16′
  • Principale I 8′
  • Principale II 8′
  • Flauto Cuneiforme 8′
  • Dulciana 8′
  • Ottava 4′
  • Flauto a Cuspide 4′
  • XII 2’2/3′
  • XV 2′
  • Ripieno 4 file
  • Ripieno 5 file
  • Controfagotto 16′
  • Tromba 8′
  • Voce Umana 8′

Terza tastiera – Espressivo

in Cornu Evangeli, espressivo

  • Bordone 16′
  • Principale Stentor 8′
  • Principale 8′
  • Bordone 8′
  • Viola Gamba 8′
  • Salicionale 8′
  • Ottava 4′
  • Flauto Armonico 4′
  • Flauto in XII 2’2/3′
  • Silvestre 2′
  • XV 2′
  • Decimino 1’3/5′
  • Ripieno 4 file
  • Sesquialtera Combinata
  • Tuba Forte a Squillo 8′
  • Tromba Armonica 8′
  • Oboe 8′
  • Clarinetto 8′
  • Voce Celeste 8′
  • Coro Viole 3 file 8′
  • Voce Corale 8′
  • Tremolo

Pedaliera

in Cornu Epistulae

  • Acustico 32′
  • Contrabbasso 16′
  • Subbasso 16′
  • Quinta 10’2/3′
  • Basso 8′
  • Corno Camoscio 8′
  • Quinta 5’1/3′
  • Ottava 4′
  • Ripieno 6 file
  • Bombarda 16′
  • Trombone 8′
  • Clarone 4′

in Cornu Evangeli

  • Violone 16′
  • Bordone 16′
  • Principale 8′
  • Bordoncino 8′
  • Violoncello 8′
  • Flauto 4′
  • Ottavino 2

Unioni ed accoppiamenti

  • I 8′ Ped
  • II 8′ Ped
  • III 8′ Ped
  • I 4′ Ped
  • II 4′ Ped
  • III 4′ Ped
  • I 16′ I
  • III 16′ I
  • III 8′ I
  • I 4′ I
  • III 4′ I
  • I 16′ II
  • III 16′ II
  • I 8′ II
  • III 8′ II
  • I 4′ II
  • II 4′ II
  • III 4′ II
  • III 16′ III
  • III 4′ III

Annulli

  • Ance I Man.
  • Ance II Man.
  • Ance III Man.
  • Ance Ped
  • Ance Generali
  • Ripieni
  • Mutazioni
  • Fondi 16′ ai Manuali
  • Accoppiamenti
  • Unioni dei Manuali al Pedale
  • Unioni dei Manuali

Organo della cappella Sforza

L’organo della Cappella Sforza[11] fu realizzato nell’anno 1900 dalla ditta Anneessens & Ruyssers e collocato entro una cassa in stile barocco posta sopra la porta d’accesso alla cappella nell’apposita cantoria. Durante i restauri della basilica in vista del Giubileo del 2000, la cantoria è stata demolita e l’organo ricostruito soltanto nel 2005 da Francesco Zanin, recuperando le parti rimaste dallo strumento originario e collocandolo in una nicchia sulla parete destra. L’attuale (2011) strumento, a trasmissione elettronica, ha una tastiera di 56 note ed una pedaliera di 27 ed ha la seguente disposizione fonica:

Disposizione fonica dell’organo Anneessens & Ruyssers

Manuale

  • Montre 8′
  • Prestant 4′
  • Doublette 2′
  • Forniture
  • Violon
  • Bourdon

Pedale

  • Susbasse 16′

Unioni e accessori

  • Unione manuale-pedale
  • Tremolo

Organo della cappella Paolina

Nella cappella Paolina, si trova un organo a canne costruito da Natale Balbiani nel 1910[11]. Lo strumento, collocato sopra una cantoria alla destra dell’ingresso della cappella, ha una tastiera unica di 56 note ed una pedaliera di 27. A trasmissione pneumatica tubolare, ha la seguente disposizione fonica:

Disposizione fonica dell’organo Balbiani

Manuale

  • Principale 8′
  • Viola 8′
  • Celeste 8′
  • Ottava 4′
  • Flauto 4′
  • Pieno 3-5 file

Pedale

  • Subbasso 16′

Unioni e accessori

  • Unione manuale-pedale
  • Tutti

Organo Corale

L’organo corale della Basilica, costruito nel 1932 da Giuseppe Migliorini, ricoprì, fino alla costruzione dell’organo Mascioni nel 1956, il ruolo di organo per l’accompagnamento delle liturgie. Collocato alla sinistra del presbiterio maggiore ed interamente espressivo, è a trasmissione elettrica e conta un’unica tastiera di 58 note ed una pedaliera di 30. La sua disposizione fonica è la seguente:

Disposizione fonica dell’organo corale

Manuale

  • Principale 8′
  • Ottava 4′
  • Pieno 3-5 file
  • Viola 8′
  • Coro Viole 8′
  • Flauto 4′

Pedale

  • Bordone 16′

Unioni e accoppiamenti

  • Unione manuale-pedale
  • Ottava acuta manuale-pedale
  • Ottava acuta manuale

Il campanile, le campane e la storia della “Sperduta”

Il campanile romanico di S. Maria Maggiore è alto 75 metri[12], il più alto di Roma[12]. Costruito tra il 1375-1376[13], è stato, nei secoli, rialzato e completato sotto il cardinale Guglielmo d’Estouteville, arciprete della basilica fra il 1445 e il 1483, a cui si deve anche, per fini statici, la grossa volta a crociera di divisione tra la parte inferiore e il primo piano. Nei primi anni dell’Ottocento fu munito di un orologio. Vi troviamo ordini di doppie monofore e, nei piani successivi bifore. Il campanile contiene 5 antiche campane che emettono le seguenti note musicali:

  • Do♯3 calante
  • Do♯3
  • Re3
  • Fa♯3
  • Sol3

La campana più grande conservata nella cella campanaria è del 1289, fusa da Guidotto Pisano per interessamento dei Savelli; le altre campane risalgono ai secoli XVI-XIX. Il campanile conservava anche la campana donata da Alfano, camerlengo di Callisto II (1119-1124), che, rimossa sotto Leone XIII, si conserva oggi nei Musei Vaticani.

Una delle campane è detta “La Sperduta” e suona appena dopo le 21[12] ricordando una leggenda che risale al XVI secolo. Si racconta infatti che una pastorella, secondo alcune versioni cieca, si era persa nei prati che a quei tempi circondavano l’Esquilino, pascolando il suo gregge. Calata ormai la sera furono fatte suonare le campane della Basilica di Santa Maria Maggiore perché i rintocchi la guidassero a casa. Sembra poi che effettivamente lei non tornò mai più ma le campane continuano a chiamarla. Da qui il rito serale detto appunto della “Sperduta”. Secondo un’altra tradizione a perdersi, invece di una pastorella, fu una pellegrina (o un distinto viaggiatore, secondo altre fonti) che, venendo a Roma a piedi, aveva perso la strada e aveva quindi pregato la Vergine chiedendo il suo aiuto. Subito udì i rintocchi della campana, seguendo i quali raggiunse la Basilica e quindi la salvezza. In ricordo del fatto la pellegrina lasciò una rendita affinché alle 2 di notte (trasformate alle 9 di sera nei tempi recenti) venisse perpetuamente suonata la campana[14].

Gli scavi sotto la basilica

Pianta degli scavi

Tra il 1966 e il 1971, per risolvere problemi di umidità, venne effettuata una campagna di scavi sotto il pavimento della basilica, condotta esclusivamente lungo le navate laterali. Rimosso l’interro che li colmava, vennero rinvenuti numerosi ambienti di II e III secolo, attualmente musealizzati ed accessibili dal museo della basilica.

Il complesso, sulla cui destinazione originaria sono state fatte varie ipotesi, ma nulla che avesse attinenza con la basilica liberiana, si presume privato e quindi non da identificare con il Macellum Liviae, nelle cui prossimità le fonti attestano la primitiva basilica liberiana. Esso si compone di molti ambienti articolati attorno ad un vasto cortile, a vari livelli e di non facile interpretazione, anche perché ascrivibili a diversi periodi e variamente obliterati da successive murature realizzate in tempi diversi. Lungo il percorso si incontrano: tracce di un piccolo stabilimento termale, con mosaici e intercapedini per il riscaldamento; l’esposizione delle tegole antiche; tracce ben conservate di affreschi geometrici decorativi; tracce di affreschi relativi ad un calendario agricolo (che costituiscono forse il reperto più noto del sito); un piccolo ambiente semicircolare con nicchie, resti di affreschi e di un pavimento in opus sectile su suspensura, presumibilmente pertinente all’impianto termale.

Arcipreti della Basilica di Santa Maria Maggiore

Masolino da Panicale Fondazione di Santa Maria Maggiore a Roma

Opere già in Santa Maria Maggiore